Le elezioni politiche ci consegnano uno scenario di ingovernabilità ancor più complicato di quello che paventavano i più pessimisti.
Il successo dei Grillini era prevedibile; ma le sue dimensioni sono adesso come un macigno sulla strada della formazione del governo, anche a causa della sconfitta subita dal raggruppamento di centro messo insieme da Mario Monti.
Il Terzo Polo, che avrebbe dovuto fare pendere il piatto della bilancia dall’una o dall’altra parte, pare tagliato fuori da tutte le combinazioni utili per fare un governo in grado di salvare la legislatura. Né può essere seriamente presa in considerazione l’ipotesi di nuove elezioni. Napolitano non può sciogliere le Camere durante il semestre bianco. E la possibilità, da taluno ventilata, che il leader del Pd, il partito che ha avuto più seggi alla Camera ed al Senato senza però disporre della maggioranza in Senato, possa ottenere l’incarico, farsi battere in Senato e gestire le elezioni pare del tutto campata in aria.
Per arrivare allo scioglimento occorre comunque prima eleggere i Presidenti di Camera e Senato. Si tratta di passaggi oltremodo difficili, perché richiedono il formarsi di una maggioranza o comunque un accordo tra i partiti che allo stato è difficile prevedere. Inoltre, uno scioglimento del Parlamento ottenuto da un Premier che non ottiene la fiducia pare una vera forzatura. C’è il precedente di Monti, premier dimissionario che ha gestito le elezioni; Monti, però, una fiducia l’aveva avuta e si era a fine legislatura.
Altrettanto irrealizzabile sembra l’idea di una conferma degli attuali vertici istituzionali attraverso la proroga, sia pure limitata nel tempo, del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio. Un’idea irrealizzabile sia per ragioni tecniche che per ragioni politiche. Napolitano non ci sta. L’ha ribadito più volte, con chiarezza, che non intende restare al Quirinale un solo giorno in più dopo la scadenza del suo mandato. Monti poi si è dimesso da Presidente del Consiglio. Per tornare alla guida del governo dovrebbe avere un nuovo incarico e deve incassare la fiducia dal Parlamento. Si tratterebbe, insomma, di un nuovo governo in grado di conquistarsi una maggioranza all’interno del Parlamento neoeletto.
A questo punto le uniche due soluzioni praticabili sono: o un governo espresso da una maggioranza larga o un governo di centro-sinistra che possa contare “stabilmente” sull’appoggio dei Grillini.
Sul piano numerico le due soluzioni sono entrambe praticabili, ma sul piano politico riteniamo di no. Grillo ha detto che non intende votare la fiducia ad un governo che non sia quello espresso dal suo movimento, e che al massimo potrebbe dare un sostegno ad intermittenza ad un governo che si impegni a portare in aula provvedimenti riconducibili ai punti fermi del suo programma. Ciò significa che non sosterrà nessun governo. È difficile che un Presidente incaricato possa decidere di andare avanti a queste condizioni, ammesso e non concesso che riesca a superare lo scoglio della fiducia. Un sostegno parlamentare ad intermittenza comporterebbe un governo abbandonato alla sua sorte tutte le volte in cui esso deve prendere decisioni che riguardano impegni assunti dall’Italia con l’ Europa o con la comunità internazionale, o varare provvedimenti in attuazione di un programma di risanamento economico, già condiviso dal Pd e che si può anche reinterpretare ma non sconvolgere, come vorrebbe Grillo.
Se le cose stanno così, pare davvero una fuga dalla realtà il dilemma tra il governo di minoranza sostenuto da Grillo e il governo espresso da una larghissima maggioranza, nel quale rischia di incartarsi il Partito Democratico.
Di fronte a queste difficoltà, non resta che confidare nel decisionismo di Napolitano, che peraltro in questi anni, in molte occasioni, ha saputo agire come un vero e proprio “re della Repubblica” entrando nel merito di dispute politiche che avrebbero potuto produrre serie tensioni istituzionali.
I partiti che adesso si dibattono tra tante difficoltà sono i primi responsabili di questo stato di cose, non avendo voluto durante la legislatura passata approvare una legge elettorale che potesse prevenire situazioni di blocco del sistema politico come quella che stiamo vivendo. Essi hanno dimostrato di non avere grande capacità di ascolto della società; una capacità di ascolto di cui ha dato prova, invece, il Presidente della Repubblica a cui compete adesso sbrogliare questa difficile matassa. Il Capo dello Stato ha ampia discrezionalità, in regime parlamentare, nella scelta della personalità a cui affidare il governo, sia essa una personalità interna o esterna al sistema politico. In questo frangente, una volta avviati i colloqui con i partiti, il Presidente saprà certamente essere convincente, spiegando ad essi ciò che certamente non è possibile fare. Può operare in questo senso svolgendo in proprio una esplorazione a tutto campo, o affidando un incarico esplorativo.
Non si può ignorare il fatto che il Partito democratico dispone del maggior numero di seggi alla Camera e Senato, ma che non è riuscito a garantirsi una maggioranza autosufficiente. E’proprio in direzione del Pd che occorre svolgere una paziente opera di persuasione.
Il Partito democratico ha manifestato sin dalla sua nascita una decisa vocazione maggioritaria e la volontà di rinnovare un sistema parlamentare bisognoso di radicali riforme, anche sapendo padroneggiare i meccanismi della democrazia dell’alternanza. Oggi, questo partito non può, così come faceva il vecchio pci, inseguire ogni radicalismo, individuando in esso un nucleo di valori comuni alla sinistra. Le grandi democrazie europee hanno dimostrato che quando il sistema dell’alternanza si inceppa a causa dei risultati elettorali, l’uscita di sicurezza da imboccare è quella dei governi di tregua.
Di ciò in Italia c’è soprattutto bisogno se si vogliono fare le riforme di cui negli ultimi trent’anni si è inutilmente chiacchierato senza decidere mai nulla.
Non è certo facile, dopo una brutta campagna elettorale come quella che abbiamo vissuto e di fronte a tre poli, tutti tre minoritari, che si sono duramente scontrati impegnandosi a non dialogare tra loro sul nulla, fare adesso la larga maggioranza. E però, se si tiene conto dei proclami elettorali, emergono su alcuni punti significative convergenze tra le posizioni berlusconiane e quelle dei grillini. Si pensi all’euroscetticismo, al rifiuto della dittatura dei mercati, alla decisa opposizione nei confronti di tetti di indebitamento molto rigidi.
E’, tuttavia, prevedibile che Berlusconi su tali questioni possa fare marcia indietro, e gli elettori non sarebbero sorpresi più di tanto essendo abituati ai suoi dietro-front. Più difficile è che ciò possa fare Grillo, il quale in campagna elettorale ha tracciato una sorta di linea del Piave tra sé e gli altri, e quindi adesso non può rifugiarsi nei tatticismi di una politica politicante.
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