Last updated on Marzo 21st, 2013 at 08:52 am
La Sicilia viene spesso, nelle analisi, considerata una sorta di laboratorio nel quale si sperimentano formule e alleanze inedite di governo. Che, poi, potranno essere consegnate alla storia, messe in lista d’attesa per essere applicate in seguito su più larga scala, ovvero essere “esportate” a livello nazionale.
È bene sottolineare che il termine laboratorio, negli ultimi tempi, ha finito con l’assumere un significato denso di ambiguità, quasi fosse una sorta di giustificazione impropria ad alleanze di tipo puramente opportunista e non connotate da precisa identità politica.
Oggi, però, con buona approssimazione, può parlarsi della Sicilia come laboratorio nel quale il Movimento 5 Stelle sta sperimentando la sua capacità di “governance”. Non a caso, nei dibattiti che hanno seguito la conoscenza dei risultati elettorali, l’esperienza siciliana è stata più volte additata a modello per una probabile imitazione su scala nazionale.
Può essere utile così ricostruire questa esperienza, sia pur breve nel tempo, e coglierne i tratti più significativi. Diciamo subito che siamo lontani da slogan tipo “partito di lotta e di governo”. Piuttosto si è venuto realizzando, fino a questo momento, uno schema virtuoso, almeno dal punto di vista della tipologia di opposizione praticata. Nel quale si accettano cariche istituzionali, si mettono in pratica propositi di taglio ai costi della politica, si individuano temi fondamentali (finora prevalentemente di stampo ambientalista) e si fornisce al consenso popolare sui temi stessi (il rifiuto del Muos) un appoggio in sede assembleare.
In sostanza, a ben vedere, questa sembra un’opposizione che non si nutre di radicalismi, agisce lasciando ad altri pienamente senza trucchi, ipocrisie, baratti, la responsabilità di decisioni non condivise. Far cadere il numero legale, come è accaduto, in qualche occasione all’Assemblea regionale, è atto paralizzante non in sé quanto perché viene a coincidere con un assenteismo colpevole e ingiustificato dei partiti che dovrebbero costituire, grazie ai rinforzi giunti in gran copia, la cosiddetta maggioranza.
E non v’è alcun dubbio che alcuni comportamenti (come il taglio dell’indennità parlamentare) proprio perché non hanno prodotto alcun effetto imitazione probabilmente hanno finito con l’attirare preferenze verso questo movimento.
Dunque, più di una ragione per pensare che se i “grillini” adottassero il modello siciliano alla Camera e al Senato il rischio di governabilità non solo sarebbe ridotto, ma emergerebbe solo di fronte a singoli provvedimenti, come abitualmente avviene.
Ovviamente abbiamo finora parlato di “governance” e non di tensione programmatica. Una caratteristica del Movimento 5 Stelle in Sicilia è stato finora quella di adoperarsi per seguire emergenze, non per attuare il loro programma. Nel quale si trovano obiettivi che ragionevolmente sembrano di impossibile realizzazione (si pensi all’autarchia nel settore alimentare) assieme ad altri che non appaiono compatibili con i conti della Regione. La stessa osservazione può formularsi al programma per l’Italia (nella parte economica descritto e esaminato da chi scrive in www. nelmerito. com) che mette in discussione gli attuali equilibri tra Stato e mercato, la partecipazione dell’Italia all’Ue, l’adozione dell’euro). Insieme con proposte, peraltro consimili a quelle avanzate da altri partiti, come un reddito di cittadinanza, l’abolizione dell’Imu, il “taglio” delle pensioni “ricche”.
Andiamo a concludere. Se il Movimento 5 Stelle applicasse la chimica politica costruita in Sicilia ci troveremmo di fronte ad una specie di dualismo: da un lato partecipazione piena agli organi parlamentari, dall’altro accordi “legge per la legge”. Il che richiede, lo si intuisce, un lavoro di mediazione pur possibile.
Altra cosa sarebbe se da questo dualismo si passasse ad un’azione triplice che prevede da parte del Movimento 5 Stelle la realizzazione delle idee guida del loro progetto (alcune delle quali, va sottolineato, pur apprezzabili e condivise anche da altri partiti, ma altre che richiedono cambiamenti strutturali di sistema). Se venisse a concretizzare questa specie di cambiamento di paradigma, superando il modello siciliano, le conseguenze in termini di stabilità di governo andrebbero previste con lenti di pessimismo. lasicilia
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