Conclusa la campagna elettorale, si pone un interrogativo: quale ruolo avrà la Sicilia dopo il voto di oggi e domani?
La solita «calata» dei leader nazionali, con al seguito la lunga corte di servitor cortesi locali, non ha portato nulla di nuovo. Anzi, nell’evidenziare antichi mali della nostra terra da noi ben conosciuti e mai risolti, abbiamo dovuto constatare come il quadro politico nazionale sia così avvelenato da lasciare poche speranze che qualcosa per noi cambi. Ci sono stati più insulti che proposte. Non parliamo delle contraddizioni.
Le rileva, ad esempio, Emanuele Macaluso sull’«Unità» in una lettera aperta a Mario Monti, l’uomo sul quale si riponevano molte speranze: non è stato bello passare da un «Berlusconi cialtrone» a un Bersani col quale «non si ha nulla da spartire», e poi pensare di fare una grande coalizione con entrambi. L’ultima di Monti è proprio di questi giorni: la Merkel non vuole la sinistra al governo. Due errori. Uno subito corretto dalla stessa Merkel: «mai detto ciò»; l’altro lo espone all’accusa di essere Germania-dipendente.
In queste contraddizioni non è da meno Bersani. Ha sempre arringato contro Beppe Grillo e la sua armata brancaleone e ora pensa, a voto avvenuto, di fare lo «scouting», cioè una esplorazione, dei grillini che andranno in Parlamento. Sperando in qualche «acquisto». Berlusconi invece manda lettere a tutti e ribadisce il rimborso dell’Imu. Per gli avversari è una truffa, anche se ancora in pectore. Diventerà tale se il Cavaliere dovesse essere eletto e non dovesse mantenere la promessa. Le sue lettere si trasformerebbero in un boomerang.
In questo scenario quale interesse potranno avere questi signori per la Sicilia, quella reale? Un serbatoio di voti e basta. Promettono tutto: lavoro, strade, treni, porti, turismo e tante altre belle cose. Ovviamente svicolano sul Ponte, perché sanno che politicamente è rischioso. Si rifugiano nella solita risposta: non è prioritario. Lo ripropone Berlusconi, ma nessuno gli crede, anche perché non dice dove prenderà i soldi. E ammesso che il Ponte non sia prioritario, tutte quelle opere e quegli interventi socio-economici considerati da tempo prioritari, che fine hanno fatto?
Si dice che il Sud sia il motore per lo sviluppo di tutto il Paese. Solo che il motore si è inceppato e nessuno lo riavvia. La verità è che valgono poco gli uomini che ci rappresentano. Se respirano l’aria del potere romano si inebriano a tal punto da dimenticare la terra d’origine dove prendono i voti; se rimangono in Sicilia sembrano un gregge in continua transumanza. Da un partito all’altro. Sta accadendo dopo le recenti elezioni regionali. Gente alla ricerca di una poltrona e, se trova il tutto esaurito, si accontenta di uno strapuntino. C’è chi si dedica a raccattare questa chincaglieria fuori uso. Come si fa al mercato delle pulci.
Per ora alla Regione c’è Crocetta che si dà da fare. Smeriglia le tante incrostazioni della burocrazia, fa maxirotazioni, tenta di moralizzare un istituto, quello regionale, che negli anni, proprio per questo, ha perso per strada alcuni governatori. A Crocetta ci sentiamo di dire: nella foga di farsi un partito, guardi bene chi si mette dentro. Nel passato più o meno recente molte di queste iniziative, all’inizio politicamente corrette, sono finite nel nulla perché avevano dentro proprio uomini di ventura. Ecco perché poi nascono i grillini. Mancano, come il loro guru, di un progetto politico e sociale, ma interpretano delusione e rabbia.
Non è però che con ciò si costruisce il futuro. Portare la Sicilia all’interno di un quadro nazionale è difficile. Forse impossibile. Angelo Panebianco in un editoriale sul «Corsera» ha posto un interrogativo al quale, ancora oggi, è difficile dare una risposta: «Come si può definire un Paese che in ben centocinquanta anni di unità non è riuscito a venire a capo della questione meridionale e a disinnescare, per conseguenza, il potenziale distruttivo delle proprie fratture territoriali? ».
Già, come definirlo? Di questo Paese fa parte pure la Sicilia. Il guaio è che non se ne accorgono gli stessi siciliani.
Domenico Tempio
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