Mario Monti pensa che i suoi avversari, Bersani e Vendola sulla sinistra, Berlusconi e Maroni sulla destra, abbiano un problema comune: l’impossibilità di governare da soli. Pd e Sel, secondo il Professore, non darebbero garanzie sul fronte dello sviluppo e della crescita; con Pdl e Lega ci sarebbe invece il rischio di un nuovo incendio finanziario sui mercati.
Sembrerebbe un vicolo cieco.
A quanto pare, per il premier l’unica via d’uscita consiste nel «taglio delle ali» per giungere a un nuovo esperimento di larghe intese che completi l’agenda del governo tecnico e faccia le riforme istituzionali: a suo avviso, ci sarebbero abbastanza forze disponibili nel Pdl e nel Pd una volta disdette, dopo il voto, le alleanze con Sel e Lega.
Naturale che Berlusconi e Bersani si siano affrettati a rigettare questa ipotesi che, di fatto, stravolgerebbe la fisionomia dei loro partiti e delle rispettive strategie. Ma a ben vedere, non si tratta di uno scenario impossibile: tutti i sondaggi hanno evidenziato le difficoltà del centrosinistra di conquistare la maggioranza al Senato. Ancora più improbabile appare – allo stato – il famoso «sorpasso» del centrodestra alla Camera che non potrebbe essere affiancato da analoga vittoria al Senato, dove si vota su base regionale (qui l’asse Pd-Sel è ampiamente in vantaggio in quasi tutte le Regioni).
Dunque, Monti sembra ipotizzare implicitamente quel quadro d’instabilità che costringerebbe il Pd a cercare il sostegno dei centristi. In tal caso, il Professore ritiene molto difficile un’intesa con Vendola i cui programmi sono incompatibili con la sua agenda. A meno che non cambi idea, fa sapere con una punta di malizia.
Ma con ogni probabilità nemmeno un’alleanza Pd-Centro (senza Sel) avrebbe la maggioranza nel futuro Parlamento. Ne deriva la necessità di cercare un accordo con i moderati del Pdl per quella legislatura di transizione di cui hanno parlato più volte Casini e Fini: un accordo sulle riforme più urgenti (tra le quali, la legge elettorale) per poi tornare al voto.
Come dice Casini, per i montiani è importante salvare la governabilità, «ma non a ogni costo». Tradotto: se Bersani si illude che il centro accetti il ruolo di alleato minore, di «ruota di scorta» verrebbe da dire, avrà una delusione.
S’intende che molto dipenderà anche dal risultato di Scelta civica e dei suoi alleati (il traguardo minimo è stato fissato nel 15 per cento), ma comunque è chiaro che i centristi non sono disponibili ad annacquare la propria identità perché il progetto Monti è proiettato nel lungo periodo.
Vendola replica che questi sono giochetti da Prima Repubblica e che l’unico, vero problema dell’Italia di oggi è il lavoro. Perciò, chiede al premier di prendere provvedimenti immediati a difesa dei cassintegrati, degli esodati e dei disoccupati invece di fare filosofia. Bersani difende Vendola dicendo che Monti racconta favole e che prendersela con il governatore della Puglia è uno sport inutile perché sarà il centrosinistra a governare. Il sottinteso è che il Pd non rinuncerà mai al suo alleato.
Tuttavia, in un momento così drammatico, segnato dalla crisi della Chiesa e dagli scandali politico-finanziari che si accavallano (Finmeccanica, Mps, servizi segreti, condanna di Fitto e accuse a Formigoni), il timore latente dell’ingovernabilità che affiora nelle parole di Monti appare più che fondato. Si avverte il nervosismo che serpeggia in tutti i partiti per il crescente successo che sta incontrando Grillo, il cui programma radicale di tagli e di riforme conquista il web e riempie le piazze: al di là delle polemiche sulla sua collocazione, tutti sanno che un movimento capace di portare in Parlamento un centinaio di deputati e una cinquantina di senatori costituirebbe un fattore politicamente imponderabile. Lo riconosce lo stesso comico genovese quando ammette che se il M5S «facesse il botto, saremmo in difficoltà» sul piano dell’organizzazione.
Di qui nasce l’idea che solo una Grosse Koalition, sotto la regia del Quirinale, potrebbe far fronte a questa onda d’urto.
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