Last updated on Gennaio 15th, 2016 at 10:00 am
A Nord si ricostruisce prima e meglio che a Sud?
La polemica è antica e ancora viva. L’esperienza del terremoto del 1968 dimostra che molti pregiudizi nei confronti dei meridionali non sono giustificati. E che lo Stato non è un modello. Basta leggere le testimonianze di chi ha vissuto quei tempi: Vito Bellafiore e Ludovico Corrao.
Il Belìce quarantacinque anni dopo. Speranze e illusioni. Promesse e delusioni. E polemiche infinite. Con una ricostruzione che è andata avanti a rilento. E che – sembra incredibile! – non è ancora stata completata. Possibile? Una storia scritta male che è diventata il paradigma di un Sud irredimibile. Sullo sfondo, un vaticinio, quasi una maledizione: sotto la linea gotica, diventa difficile, se non impossibile, utilizzare al meglio le risorse finanziare pubbliche.
Ma le cose stanno veramente così? La domanda non è oziosa.
Soprattutto alla luce di quello che sta avvenendo in questi giorni nel nostro Paese. Dove interi centri abitati colpiti dalle piogge si sbriciolano. Frane di qua, smottamenti di là. In Italia il dissesto idrogeologico, frutto di decenni di incuria, non fa sconti. Nel Centro Nord come al Sud. Dal Veneto alla Sicilia. Con il federalismo alle porte – un federalismo che dovrà unire il nostro Paese e non dividerlo, almeno così si spera, è più che mai necessario sconfiggere la tesi, che già purtroppo sta prendendo piede, che ci possano essere alluvionati di seria A e alluvionati di serie B. Proprio per eliminare sul nascere equivoci che, se non fugati, provocherebbero altre incomprensioni tra quelle che certi meridionalisti un po’ su di giri definiscono “le due Italie”, abbiamo deciso di accendere i riflettori su un grande raggiro economico e, soprattutto, mediatico che è stato perpetrato ai danni degli abitanti della valle del Belìce.
Siamo andati a Santa Ninfa, piccolo centro della provincia di Trapani, uno dei Comuni distrutti dal terremoto del 15 gennaio del 1968. E’ da questo paese ricostruito che vogliamo partire per raccontare una storia che, ancora oggi, continua ad essere capovolta. Perché nell’immaginario italiano, purtroppo, quando si pronuncia la parola “Belìce”, si pensa agli sprechi. Un ritornello che si è ripetuto nel 2008, quando l’allora governo Prodi stanzia con la legge finanziaria meno di 10 milioni di euro – tutto sommato, una somma modesta – per il completamento della ricostruzione dei centri colpiti dal terremoto del 1968. Apriti cielo! Sui grandi giornali, con la precisione di una reazione chimica, scatta la solita formula: “Gli eterni terremotati del Belìce”. Per fortuna a rimediare ha pensato il ministro Giulio Tremonti, che ha dirottato anche questa somma nel bel gruzzolo messo su per finanziare l’abbattimento dell’Ici sulla prima casa.
Ancora oggi Vito Bellafiore, ex senatore del Pci, per oltre vent’anni sindaco di Santa Ninfa e presidente del comitato dei comuni del Belìce colpiti dal terremoto del 1968, quando affronta l’argomento non riesce a nascondere un motto di stizza: “Abbiamo ricostruito più di una ventina di paesi con i soldi che arrivavano con il contagocce. La ricostruzione è il frutto di grandi sacrifici della gente che vive e lavora nel Belìce. Ne abbiamo viste di tutti i colori. E, ancora oggi, non riusciamo a fare emergere la verità dei numeri. Che non è quella che ancora oggi viene raccontata da certi giornali”. Già, i numeri. E proprio dai numeri letti un po’ troppo frettolosamente che vengono fuori gli equivoci che continuano a generare interpretazioni errate.
Le prime polemiche esplodono nel 1976, quando si fa il primo bilancio della ricostruzione. Si scopre che, a quella data, lo Stato ha speso 348 miliardi e 650 milioni di vecchie lire. Ma – e qui sta la sgradevole sorpresa – i soldi sono serviti solo per i primi lavori di urbanizzazione. In pratica, dopo otto anni, non è stata costruita nemmeno una casa! Lo scandalo è enorme. I miliardi sono volati via e la gente vive ancora nelle baracche.
Morale: nel Belìce si sono mangiati i soldi. Da allora ad oggi il paradigma sul Belìce non è cambiato. A nulla è valso spiegare che nell’inverno del 1968, quando ancora nei paesi colpiti dal terremoto si contavano i morti, lo Stato aveva istituito l’Ispettorato per le zone terremotate della Valle del Belìce, braccio operativo del ministero dei Lavori pubblici. Tutti gli interventi effettuati nelle zone colpite dal sisma, dal 1968 al 1976 – progetti, espropri, esecuzione delle opere – sono stati effettuati dai tecnici dell’Ispettorato, cioè dal governo nazionale.
Certo, ci sono stati sprechi. Ma a dilapidare tali risorse non sono stati amministratori e abitanti dei comuni del Belìce, ma il governo nazionale dell’epoca. Ricorda, nelle sue memorie Ludovico Corrao, già senatore della Repubblica, per lunghi anni sindaco di Gibellina: “Agli atti ci sono decine di denunce firmate dal sottoscritto. Segnalavo il malaffare di imprese che piombavano nelle nostre zone grazie ai buoni uffici della politica romana”. Eppure la responsabilità del nulla di fatto dei primi otto anni del post terremoto è stata sbrigativamente addebitata agli abitanti del Belìce.
Giacomo Lanzarone è nato a Menfi nel 1983. Ha studiato in Emilia Romagna conseguendo la Laurea in Informatica. Dopo alcune esperienze professionali in Ferrari e Maserati, nel 2017 è emigrato nella sedicente Padania.
Da alcuni anni si è specializzato come tecnico ERP Infor LN. Oggi si occupa anche di Business Intelligence, con l’ausilio di Infor Dynamic Enterprise Performance Management (Infor d/EPM).
Determinato, sportivo, amante della buona cucina e dei piaceri della vita. Ama viaggiare, allargare i suoi orizzonti e scoprire nuove culture.