E’ d’obbligo un grazie al presidente Napolitano per aver sollecitato, col suo messaggio di fine anno, un’attenzione al Mezzogiorno nel dibattito elettorale. Sollecitazione che ha trovato conferma negli ultimi dati sulla disoccupazione, quelli diffusi da Unioncamere: 17,9% nel Mezzogiorno contro l’11,4% della media nazionale. In Sicilia, il 19,6% contro l’8% della Lombardia. E’ stato più che opportuno e tempestivo il richiamo del presidente.
Nell’offerta politica che i partiti e i movimenti stanno elaborando e trascrivendo in agende e manifesti non si parla più del Mezzogiorno. Cioè, non si parla più di una “questione meridionale”, né di divari regionali, o di politiche di coesione, né di ricadute che potrebbero scaturire per l’economia del Sud da politiche nazionali. Una volta c’era quanto meno la legalità come idea- guida la cui citazione permetteva di ripescare il Sud e farne oggetto di attenzione. Ora la lotta alla mafia, correttamente, è presentata come priorità nazionale con riferimento non più a territori specifici ma all’intero paese. Qualcuno potrebbe leggere in questo vuoto programmatico un definitivo abbandono d’ascolto e di proposta relativo a rivendicazioni localistiche. Non è cosi.
La Lega, per evidenti motivi elettorali, continua a issare la bandiera del Nord recuperando dalla cantina assurdi modelli di federalismo e improbabili disegni di nuove macro-regioni indipendenti.
Di fronte a questo scenario possiamo porci tre domande: perché avviene questo, quale conseguenza può produrre, cosa si potrebbe tentare per modificarlo? Andiamo per ordine.
La tesi predominante che giustifica l’abbandono del Mezzogiorno come obiettivo a se stante di politiche economiche nasce, intanto, da una carenza di risorse pubbliche, dal tacito proposito di non perdere consensi nelle regioni del Nord, poi dalla sensazione dell’inutilità sperimentata di incentivi allo sviluppo e, per ultimo, da una sfiducia nella cosidetta classe dirigente locale. Una conseguenza possibile di questo disinteresse potrebbe essere costituita dall’aggravarsi di alcuni fenomeni in atto: aumento del rischio di povertà, espansione del sommerso e del lavoro precario, fuga dei cervelli, diffusione di reati contro il patrimonio. Del resto, le classifiche sulla qualità della vita (l’ultima è quella di Italia Oggi) fotografano impietosamente per le città meridionali una qualità della vita scarsa o insufficiente.
Cosa si potrebbe fare per modificare questa “ignoranza” di criticità nel Sud che attengono a infrastrutture, imprenditorialità, credito, occupazione?
Mettere in atto modelli virtuosi di contenimento della spesa, di utilizzazione di fondi europei, di inversione rispetto a pratiche clientelari. Recuperare immagine, in sostanza. Più difficile è affrontare il tema della classe dirigente: a cui si imputano inerzie e fallimenti ma a cui si ricorre per attingere al granaio elettorale del Sud. Non è facile spezzare questo circolo vizioso anche se qualche autorevole segnale di novità inizia ad emergere. Non tanto nella formazione di una nuova classe dirigente nel Sud quanto nella presa d’atto della necessità di “tagliare” erogazioni fasulle più che pensare ad estenderne gli utilizzatori finali.
Poi, c’è la prossima competizione elettorale che apre due grandi occasioni per il Mezzogiorno ed i suoi attori sociali: si è diffusa la moda di costruire programmi in rete e non di proporli già belli e confezionati. E qui la classe riflessiva del Sud potrebbe fare la sua parte. Ancora, c’è il voto. Uno strumento che può essere utilizzato in diverse versioni: di stima, di riconoscenza, di scambio.
Ovvero per ideologia, protesta, volontà di manifestare disagio, e sfiducia. Se nel seggio si ancorasse una di queste versioni ad una precisa rivendicazione per interventi nel Mezzogiorno finalizzati a migliorare la qualità della vita forse il voto potrebbe risultare ben concesso.
Un’ultima considerazione: viene sostenuto dai meridionalisti in servizio permanente effettivo, che il Nord non può fare a meno, per il suo sviluppo, del Sud. Come mercato di riferimento, come forza lavoro di riserva, come terra di contatto con la crescita dei paesi del Mediterraneo. Una letteratura finora sostanzialmente ignorata da partiti e movimenti. Che pure tra poco chiederanno il voto del Sud come già il PD nel caso delle primarie per due suoi dirigenti d’altro rango. Il punto è questo. Senza indulgere nella logica del voto di scambio, il voto del Sud non dovrebbe chiedere di rimettere in primo piano il problema della coesione nazionale, subordinando la sua espressione non a labili e generiche promesse ma piuttosto a proposte concrete? Mario Centorrino lasicilia.
Sicilia Notizie Cronaca Attualità News Politica Economia Lavoro Enogastronomia Sport Viaggi