I sostituti della Procura di Palermo che si occupano dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia sarebbero controllati e spiati da «uomini delle istituzioni». È una delle tante rivelazioni di una lettera anonima su cui indaga da qualche mese la stessa Procura palermitana.
Il fascicolo modello 45 degli atti relativi è stato aperto lo scorso settembre e, se emergeranno elementi di un certo rilievo dagli accertamenti già predisposti, è assai probabile che l’intera inchiesta dovrà essere trasmessa, per competenza, alla Procura di Caltanissetta.
«Su alcuni fatti – spiega il procuratore Francesco Messineo – l’anonimo fornisce dettagli inediti. Si tratta di vedere ora se sono informazioni vere. Stiamo cercando i riscontri.
Non posso citare i dettagli indicati – aggiunge – né la loro relazione con i casi giudiziari di cui si sono ampiamente occupate le cronache.
Posso solo dire che è stata data alla polizia giudiziaria una delega di indagine per trovare eventuali riscontri ai fatti descritti dall’anonimo».
Le rivelazioni del nuovo “corvo” – come già in passato – agitano il sonno di magistrati e investigatori di Palermo. L’esistenza “ufficiale” e “mediatica” dell’anonimo era saltata fuori il 19 dicembre scorso. La lettera – con con tanto di logo della Repubblica Italiana sul frontespizio di ciascuno dei dodici fogli – era stata inviata il 18 settembre al domicilio di Nino Di Matteo, uno dei pm dell’indagine sulla trattativa coordinata dall’ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia.
Il “corvo”, che si dimostra molto informato al punto da fare sospettare che si tratti di un investigatore deluso perché non si è dato rilievo alle sue indagini, fa riferimento proprio a quella inchiesta. Vengono espressi giudizi pesanti su alcuni magistrati della Procura di Palermo accusati di «spiare» i colleghi che si occupano della trattativa (i sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia), si sostiene che in alcune «catacombe» dello Stato molte verità sarebbero «sepolte e ricoperte di cemento armato», viene rivolto l’invito a fidarsi solo di Antonio Ingroia, ora candidato premier del movimento politico “Rivoluzione civile”.
Il “corvo”, inoltre, ripercorrerebbe, offrendo nuove chiavi di lettura, la cronistoria di varie vicende mafiose, dall’omicidio a Palermo del segretario del Pci siciliano Pio La Torre il 30 aprile del 1982 alla mancata cattura del superboss latitante corleonese Bernardo Provenzano nell’ottobre del 1995 nei pressi di Mezzojuso e che è oggetto del processo che vede imputati per favoreggiamento aggravato di Cosa nostra l’ex generale del Ros, Mario Mori, e il colonnello Mauro Obinu.
Il “corvo” avvisa poi i magistrati che indagano sulla trattativa Stato-mafia che verrebbero raccolte nei loro confronti informazioni riservate che poi sarebbero riversate a una «centrale romana». L’anonimo indicherebbe poi i nomi di «politici della prima Repubblica», finora mai indagati, che avrebbero avuto una parte nella presunta trattativa.
Infine, secondo il “corvo”, l’agenda rossa che il giudice Paolo Borsellino portava sempre con sé e su cui avrebbe annotato particolari delle indagini da lui svolte sull’assassinio di Giovanni Falcone, sarebbe stata presa da «un carabiniere». Non ne farebbe il nome, pur lasciando intuire di conoscerlo. Per quella sparizione è stato indagato, processato e assolto a Caltanissetta il colonnello Giovanni Arcangioli, filmato il 19 luglio 1992 in via D’Amelio mentre si allontanava con in mano la borsa del magistrato.
«Noi – commenta il pm Di Matteo -, consapevoli della delicatezza e dell’importanza dell’indagine sulla trattativa tra Stato e mafia, non trascuriamo nessuna ipotesi». Giorgio Petta lasicilia
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