Beirut. Rapito in circostanze ancora tutte da chiarire in quella che è considerata la regione più sicura e «tranquilla» della Siria sconvolta da un conflitto intestino che appare senza via d’uscita: l’ingegnere catanese Mario Belluomo, 63 anni, da mesi al lavoro nella zona costiera di Latakia, è scomparso da giorni ma la notizia è stata diffusa dai media e confermata dalla Farnesina soltanto ieri. Le autorità di Damasco non si sono ancora espresse.
Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha sottolineato di seguire personalmente il caso tramite l’Unità di Crisi della Farnesina e ha assicurato che «l’incolumità del connazionale è la nostra priorità assoluta», ma anche che «è indispensabile tenere il massimo riserbo». Una richiesta in linea con quella dei familiari di Belluomo, che hanno chiesto di rispettare il silenzio stampa.
La notizia del rapimento dell’ingegnere elettrotecnico italiano assieme a quella di due colleghi russi, è stata accompagnata ieri da quella della scomparsa da giorni di Richard Engel, capo dei corrispondenti esteri della Nbc. Ad affermarlo non è l’emittente americana – che segue la linea tradizionale adottata dai media Usa in questi casi – bensì il quotidiano turco Hurriyet, secondo cui non si hanno notizie neppure di Aziz Akyavas, il giornalista turco che accompagnava Engel. La Nbc non smentisce e non conferma.
Nonostante in Siria siano morte più di 42mila persone dal marzo 2011 e il regime bombardi incessantemente zone civili senza che nessun giornalista possa testimoniare indipendentemente quel che accade sul terreno, Mario Belluomo era arrivato nel Paese l’estate scorsa sembra senza timori particolari. Da mesi lavorava, secondo le scarne informazioni disponibili, ad uno degli impianti siderurgici della Hmisho, azienda leader del settore dell’acciaieria che fa parte dell’omonimo gruppo industriale che a sua volta ha rapporti con la Saipa, l’azienda iraniana che produce auto in Siria.
Secondo fonti vicine alle indagini sulla scomparsa di Belluomo, l’ingegnere lavorava in una fabbrica a sud di Latakia, ma i dirigenti dell’azienda siriana hanno assicurato che «nessun consulente straniero, italiano o di altra nazionalità» lavora per loro. «Gli ultimi stranieri sono andati via cinque anni fa», ha detto un responsabile senza voler fornire le proprie generalità.
Belluomo e altri due tecnici stranieri alloggiavano in un albergo di Tartus, località costiera che dista circa 40 km dall’impianto della Hmisho. L’intera regione costiera è quella meno colpita dalle violenze.
La provincia di Tartus è abitata in larga parte da cristiani e da alawiti, la minoranza sciita a cui appartiene la famiglia Assad. E lungo l’autostrada costiera Tartus-Latakia non si registrano da oltre un anno agguati o altri episodi di violenza, appunto perché la regione è in larga parte solidale con il regime. La fitta presenza di soldati e miliziani lealisti, noti come shabbiha, assicura un controllo quasi totale in un territorio dove i ribelli – definiti «terroristi» dai media ufficiali – non avrebbero possibilità di penetrare e di operare.
Gli affari italiani in Siria sono incentrati sull’elettricità e il manifatturiero, ma non mancano fette di mercato legate all’acciaio e alle attrezzature industriali in campo petrolifero. «La grandi aziende hanno evacuato tutto il personale italiano», soprattutto nel settore dell’energia, ha raccontato un imprenditore. «A quanto risulta sul campo sono rimasti solo staff locali, che si sono mostrati molto sorpresi nell’apprendere la notizia del rapimento di un italiano», ha aggiunto la fonte, perchè la situazione «nella zona di Tartus è di relativa calma» rispetto al resto del Paese.
Ma non è la prima volta che italiani vengono sequestrati in Siria dall’inizio delle violenze: il 18 luglio scorso due tecnici – Oriano Catari (64 anni) e Domenico Tedeschi (36) – erano stati catturati vicino Damasco da uomini armati mai identificati e sono stati rilasciati una decina di giorni dopo.
Una vicenda sulla quale sono rimasti diversi punti oscuri. Con il sequestro di Belluomo sale inoltre a due il numero dei connazionali nelle mani di rapitori all’estero, dopo che lo scorso 19 gennaio il cooperante Giovanni Lo Porto, siciliano anche lui, di Palermo, era finito nelle mani di un gruppo talebano pakistano. Solo fino a pochi mesi fa la lista degli italiani rapiti nel mondo, era ben più lunga: si è ridotta consistentemente all’inizio dell’estate scorsa con la liberazione di diversi ostaggi: da Alessandro Spadotto, il carabiniere rapito a Sanàa nello Yemen dove prestava servizio all’ambasciata italiana, a Rossella Urru, la cooperante presa nel sud dell’Algeria a ottobre 2011 da Al Qaida nel Maghreb islamico.Lorenzo Trombetta Lasicilia
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