Dalle stelle alle osterie. E’ una parabola inevitabile quella che molti chef non solo siciliani si trovano a percorrere, già da qualche anno. Una netta inversione di tendenza che dai menù gourmet celebrati dalle guide Michelin e dai prezzi non del tutto comprensibili a volte, indietro sino ai semplici piatti della tradizione contadina.
Ritornano di moda, e riaprono nel centro di Palermo le osterie di una volta, all’ antica, tovaglie a quadri e piatti appettitosi da guardare sul bouffet.
Dove la sfida è l’ uso dei prodotti a km 0 locali, freschi ma a prezzi contenuti. Piatti come le minestre di legumi e verdure, oppure il brociolone con l’uovo.
Ma Cibo sano e biologico è sempre uguale a cibo gustoso, ottimo, da gran gourmet? Ed il gusto sino a che punto, in tempi di crisi globale, è possibile soddisfarlo?
Sui format tv e sui corsi di cucina legati al food made in Italy, alla ricerca dei sapori perduti del bel paese, sembra si concentri un discreto business, sopratutto nei paesi di area nordica ed anglosassone. E ben venga, a patto che il messaggio che deleghiamo al cibo nostrum sia supportato da solide basi culturali e da figure di indiscussi professionisti.
Chef siciliani di fama, con tanto di due stelle michelin portano avanti, forse gli unici, un’ immagine positiva della Sicilia nel mondo, nomi che all’ estero ci invidiano come Ciccio Sultano, Nino Graziano, Pino Cuttaia, Carmelo Chiaramonte. Mentre si affacciano sulla scena giovani talentati nell’ arte dei fornelli, ed è il caso di dirlo finalmente anche donne chef, che lavorano con la valigia in mano ed il libro di ricette nell’ altra. Sono gli chef itineranti che girano il mondo cucinando mediterraneo ed esaltanto i cibi di qualità. Si chiamano anche chef in affitto, o residenti, in alcuni casi si sono iperspecializzati in un solo piatto di cui fanno la loro bandiera. Mentre chi resta legato al suo territorio, lavorando duramente ai fornelli, sta in fretta ritornando alla tradizione, alla cucina delle vecchie trattorie con i piatti poveri ed i prodotti dell’ orto, recuperando la sapienza delle erbe e delle verdure selvatiche, del pesce che prima andava gettatto, del fare il pane e la pasta in casa, con le farine grezze, come si usava in campagna. C’ è chi lo ha già definito marketing della nostalgia.
Attorno al cibo povero del mediterraneo come fatto culturale e salutistico stanno nascendo nuovi movimenti e stili di vita legati alla green economy ed al consumo solidale. Perchè nella tradizione culinaria siciliana c’è ben di più della pasta con le sarde, delle panelle e della cassata. Cibo fresco, locale, a km 0, prezzo contenuto ed una varietà da capogiro.
E’ la sfida delle osterie del nuovo.
Maria Laura Crescimanno
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