Fatti a nomina e va curcati, sentenzia un noto modo di dire dialettale secondo il quale ciò che “si dice” di qualcuno resta opinione comune nonostante i fatti in seguito lo smentiscano.
L’espressione risulta calzante con la condizione del Mezzogiorno d’Italia in materia fiscale, sventolato come emblema di chi non compie il proprio dovere e non contribuisce al bene dello Stato a differenza del resto del Paese.
Eppure, il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, in audizione lo scorso 3 ottobre alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato, ha dichiarato che, nonostante il gettito evaso al Sud e isole sia in percentuale di quello potenziale pari quasi al doppio di quello del Nord, in termini assoluti di volume d’affari “le differenze si invertono”. In pratica, gran parte delle mancate entrate fiscali provengono in prevalanza dal Nord (Ovest ed Est quasi indistintamente). Gli evasori nel Mezzogiorno, più numerosi ma frammentati e di dimensioni limitate, come l’economia di riferimento, incidono in minor misura rispetto al più proficuo tessuto produttivo del Settentrione.
L’emergenza evasione fiscale è dunque un problema nazionale, che ammonta ogni anno a oltre 46 miliardi lordi solo in relazione ai tributi Iva e Irap. Se dunque secondo l’Ocse l’Italia si colloca al terzo posto fra i Paesi dell’area (dopo Turchia e Messico) per la “peggiore performance” fiscale, non è solo colpa del Sud. ilSud
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