Sambuca di Sicilia è stato il primo comune dell’agrigentino ad avviare nel maggio del 2011 il percorso per l’istituzione sul prodotto della pasticceria sambucese, le Minni di Virgini, prodotto a Denominazione Comunale (De.Co.).
L’auspicio per noi, che poi rappresenta la vera sfida, riuscire a realizzare una rete dei comuni De.Co. per valorizzare quei prodotti di nicchia che inducono gli appassionati viaggiatori ad andare ad acquistare e degustare i prodotti nelle loro zone di produzione per promuovere l’offerta integrata “del” e “nel” territorio, piuttosto che mettere su strada le merci”.
Il Dott. Giuseppe Bivona, agronomo, giornalista e animatore della LURSS Onlus (Libera Università Rurale Saper e Sapor Onlus), ha fornito un’interessante rilettura storica e culinaria, sull’origine del prelibato dolce:
“Suor Virginia era una suora intelligente, aveva la consapevolezza della difficoltà in cui andava incontro, nel creare un dolce originale, tale da stupire i convitati della marchesa, in occasione del matrimonio del figlio Pietro. Ora, come tutte le donne intelligenti, non ebbe alcuna esitazione nel cimentarsi nel difficile antinomia tra “forma “e ”sostanza”. Certo in tempi in cui il Santo Uffizio, per molto meno licenziava al rogo donne meno perspicaci per la sola disavventura di usare erbe medicamentose, le “minni di virgini”, erano di certo una provocazione bella e buona! Suor Virginia non voleva rinunciare alle forme: sì, direte che si era ispirata alle colline “mammelliforme” che circondano la bella cittadina di Sambuca, ma il gioco era sottile ed intrigante! La pasta lievitata al punto giusto, morbida, vellutata, liscia come la seta, veniva plasmata con delicata voluttuosità a forma di mezzaluna, con le varianti a “coppa di champagne”, a “pera”, ecc. La forma aveva la sua massima espressione di libertà , foggiarla era come accarezzarla, un gioco di seduzione , al limite della tentazione …. La fantasia è cosi difficile imbrigliarla! Ma suor Virginia deve spendere la “sostanza” ovvero il contenuto, ciò con cui riempirà quella mezza luna a forma di minna. Nessuno le impedisce di riempirla delle specialità dolciarie esageratamente sdolcinate, tali da rimanere secchi stupiti, al primo assaggio, una eccedenza, un sovrabbondanza, senza limite, un crescente di voluttuosità senza confine, smisurata , quasi tracotante … Invece suor Virginia con molta saggezza decide di mitigare le lusinghe delle “forme”, non si lascia trascinare dallo smisurato, esorbitante, lusinghiero.
Insomma un dolce “sensitivo”.
Nell’ultimo mezzo secolo, la cultura materiale e con essa l’“arte bianca” del nostro patrimonio locale artigianale hanno ceduto “armi e bagagli” alle industrie agroalimentari. Non di meno le buone pasticcerie locali insistono con caparbietà a sfornare dolci a “km zero”, senza eccessive raffinazioni , freschi quanto lo richiedono la naturale decadenza dei prodotti, con materia prima di sicura e facile rintracciabilità. Sarebbe troppo sognare, osservare lunghe file di scolaresche intrattenersi al banco delle pasticcerie del paese e chiedere all’unisono: Per favore mi dia una “minna di virgini”.
Poi allontananti dalla pasticceria aprire lo zaino e buttare nelle cassette dell’immondizia le confezioni di brioscine e dolciumi industriali, alla stregua come si fa con la comune peggiore spazzatura.
Nino Sutera