Terminate con la proclamazione di sabato le “vacanze forzate” (passate in realtà a comporre la rosa degli assessori), per il neo-presidente della Sicilia, Rosario Crocetta, è arrivato il momento della prova sul campo: l’obiettivo è tirare fuori la Regione dalle secche del “rischio dissesto”, un compito titanico a guardare i numeri.
Società partecipate
Si tratta di uno dei primi temi indicati dallo stesso Crocetta, che ha parlato di un possibile risparmio miliardario dal riordino delle società che fanno capo alla Regione Sicilia. Risparmi imponenti, rispetto al quadro attuale, sono certo possibili, ma si tratta di sbrogliare un groviglio impressionante. Come imprenditore, la Regione Sicilia ha mostrato finora risultati pessimi: le partecipate sono 33 e 22 di queste sono in perdita, portando così la Sicilia a fare decisamente peggio di un quadro nazionale già non esaltante, in cui solo il 56% delle partecipate locali chiude in utile.
Undici società sono in liquidazione, ma con un iter lento che continua a produrre perdite anche dopo la scelta di ammainare le vele: la Mediterranea Spa, che si occupa di promozione turistica, ha perso 14 milioni fra 2009 e 2010 (contro un capitale da 9 milioni), la Multiservizi spa ne ha persi quasi 8 (il capitale è di 4) e così via. La giunta Lombardo aveva messo in cantiere un piano di riordino delle partecipazioni, che però secondo la Corte dei conti rischia di creare più danni che soluzioni: in molti casi, spiegano i magistrati contabili, il riordino si tradurrebbe nella semplice incorporazione di una società in un altra, con il rischio concreto che «le gestioni sane vengano semplicemente inquinate da quelle in perdita».
A complicare il problema sono le dimensioni del fenomeno societario siciliano: nelle partecipate lavorano almeno 7.300 persone, che costano 220 milioni l’anno. Il piano di riordino scritto dalla giunta Lombardo prevede una clausola di salvaguardia occupazionale che, per com’è concepita, potrebbe tradursi «in un esodo generalizzato e pressoché automatico del personale dalle società regionali dismesse alle nuove società a capitale pubblico» (è sempre la Corte dei conti che parla).
Finanza dei Comuni
Mentre proverà a sciogliere questi nodi, Crocetta dovrà anche occuparsi di alcune partecipate dei Comuni siciliani, e in qualche caso dovrà farlo in fretta: a Palermo quasi 1.900 dipendenti della Gesip, la multiservizi del capoluogo, sono da mesi senza stipendio ma la cassa integrazione in deroga non è potuta scattare anche perché mancano i fondi regionali. La sconfortante situazione delle casse regionali, del resto, non ha nemmeno consentito a Palazzo d’Orleans di sfruttare il cofinanziamento statale per aiutare i Comuni nel raggiungimento del Patto di stabilità 2012, secondo il meccanismo previsto a luglio nel decreto legge sulla revisione di spesa e scattato in tutte le altre Regioni.
Per i sindaci siciliani, di conseguenza, rispettare i vincoli di finanza pubblica diventa due volte più difficile rispetto a quel che succede nel resto d’Italia, mentre Palermo, Catania (sia il Comune sia la Provincia), Messina, Agrigento, Sciacca e altri enti ballano pericolosamente sull’orlo del dissesto finanziario e confidano in un intervento in extremis dello Stato. La prima sfida di Crocetta, quindi, è quella di far uscire la finanza locale siciliana dal rischio di fallimenti a catena, alimentati da un circolo vizioso che dal mancato intervento regionale conduce ai default locali e alle conseguenze ovvie in termini di servizi e di tenuta sociale delle comunità.
Il personale
È l’intera struttura dei conti regionali, del resto, a limitare drasticamente le possibilità d’azione di Palazzo d’Orleans. Con una colonna delle entrate su cui pesa l’incognita di 15,7 miliardi di mancati incassi (tecnicamente, si chiamano «residui attivi», il lato delle uscite è schiacciato da una spesa record per il personale, che costa un miliardo all’anno.
A questa somma, poi, si aggiungono i 640 milioni di pensioni agli ex dipendenti, che in Sicilia sono a carico della Regione secondo un meccanismo che rende ancor più complicato ipotizzare una riduzione della spesa nei prossimi anni perché il turn over sposta semplicemente le uscite da un capitolo all’altro dello stesso bilancio. La revisione della dotazione organica compiuta nel 2010, del resto, ha ampliato del 45% in un colpo solo le dimensioni dell’ente, aprendo la porta a 4.808 dipendenti: il tutto senza praticamente intaccare il bacino dei circa 20mila precari degli enti locali, a carico per il 90% del bilancio regionale.
Il debito
L’altra «spesa rigida» che piega i bilanci pubblici, quella legata all’indebitamento, segue la stessa dinamica. Il passivo regionale, società partecipate escluse, è volato nel 2011 a quota 5,65 miliardi di euro, con un aumento del 13,25% rispetto all’anno prima che farà crescere ancora i costi di ammortamento, che nel 2011 si sono mangiati 431 milioni di euro.
Fonte Il Sole 24 Ore
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