L’obesità infantile si è diffusa negli ultimi 40 anni in modo “epidemico” in tutto il mondo e le cause si rinvengono innanzitutto nello stile di vita della civiltà post-industriale, che ha ridotto drasticamente l’attività motoria ed il lavoro fisico ed ha aumentato le calorie con cibi industrializzati ad alta densità calorica. Naturalmente esistono vari livelli di aumento del peso, con rischi e conseguenze diverse: da quello che viene definito “sovrappeso”, un aumento moderato di peso in relazione all’età ed all’altezza; alla vera e propria “obesità”, in cui l’accumulo di grasso è spropositatamente elevato. L’obesità infantile, oltre agli evidentiproblemi fisici che comporta, innesca talune complicazioni di carattere psicologico legate all’identificazione del bambino obeso come “diverso” nelle relazioni che lo circondano, soprattutto a scuola.
Secondo recenti studi, l’Italia presenta dati particolarmente elevati rispetto al quoziente europeo, allorché un bambino su tre è obeso o in sovrappeso. Peraltro vi è un chiaro gradiente Nord-Sud, con l’obesità infantile più frequente nella parte meridionale del Paese, dove la Sicilia è seconda solo alla Campania. Su siffatti dati influiscono certamente i fattori genetici e di predisposizione ereditaria, ma occorre analizzare con attenzione la componente comportamentale, legata ad uno stile di vita più sedentario. Basta pensare all’utilizzo della bicicletta in città come Catania e Palermo rispetto a Padova o Modena. Un approfondimento condotto negli anni 1999-2001, su oltre 40.000 studenti delle scuole medie siciliane, ha documentato una frequenza del 34% di sovrappeso e obesità tra i ragazzi. Il Centro per lo Studio dell’Obesità dell’Istituto di Endocrinologia dell’Ospedale Garibaldi-Nesima, diretto dalla professoressa Lucia Frittitta, ha riscontrato in quell’occasione solo piccole differenze tra gli studenti delle aree urbane rispetto a quelli delle aree rurali, dove l’obesità comunque è lievemente meno frequente, nonché leggere differenze di genere, con i maschi più colpiti rispetto alle femmine, specialmente quando si guarda alle fasce d’età più precoce, 11-12 anni.
Negli ultimi dieci anni non sono state poche le attività di comunicazione che hanno cercato di attirare l’attenzione sul problema dell’obesità infantile, ma con risultati particolarmente modesti. A tal proposito, l’Endocrinologia diretta dal Prof. Riccardo Vigneri, con il supporto del Centro Controllo Malattie del ministero della Salute, attraverso una specifica indagine condotta dai ricercatori guidati proprio dalla prof. ssa Lucia Frittitta, pubblicata su una rivista scientifica internazionale, è riuscita a dimostrare che, nonostante gli sforzi, la situazione è peggiorata. Esaminando, nel biennio 2009-2010, oltre mille studenti di alcune scuole di Catania (area urbana) e di quelle di Agira, Assoro e Leonforte (Area rurale), e facendo un confronto con i dati ottenuti dieci anni prima, si è ricavato un aumento del 30% degli studenti con peso eccessivo, quindi anche con obesità.
La stessa ricerca scientifica documenta, peraltro, che la gran parte dei genitori di bambini con eccesso ponderale non riconosce la patologia del proprio figlio, ritenendolo spesso “robusto”, “rotondetto” o addirittura una buona forchetta, assecondando inconsapevolmente comportamenti alimentari pericolosi. Il recente aumento della prevalenza dell’obesità è pertanto legato prevalentemente a meccanismi sociali e ambientali che hanno peggiorato lo stile di vita e le abitudini alimentari dei bambini, con l’assunzione esasperata di “cibo-spazzatura” e maggiore propensione alla vita sedentaria. Occorre pertanto intervenire con adeguatezza e urgenza, magari rivedendo le attività di sensibilizzazione sin qui praticate.
Un’efficace comunicazione dovrà necessariamente prevedere sia azioni di politica alimentare, che interventi di promozione dell’attività fisica, passando per una migliore informazione dei genitori da parte dei pediatri e dei medici scolastici. L’obiettivo è la responsabilizzazione di tutti gli attori coinvolti. Sinché non si capirà che l’obesità non è un problema che possono risolvere i medici ma che richiede piuttosto una partecipazione collettiva della società, gli sforzi saranno inutili, come lo sono stati quelli dell’ultimo decennio.
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