Last updated on Ottobre 11th, 2012 at 09:05 am
Noi siciliani siamo bravi a farci del male. Di colpe ne abbiamo molte. Ci accompagna un pizzico di masochismo. Sarà fatalismo; sarà eccessivo individualismo; sarà forse una cappa di impalpabile mafiosità. La recente sentenza della Cassazione, che condanna alcuni mafiosi agrigentini a risarcire il «danno esistenziale», è da stimolo per una presa di coscienza da parte dei siciliani onesti.
Quando si hanno le spalle al muro è necessario respingere chi vuole approfittarne. Non è vittimismo, ma riflessione su dati di fatto.
La Sicilia è senza difese immunitarie, economiche e politiche. Non può essere una coincidenza che alcuni episodi accadano uno dopo l’altro, con un peso enorme sulla vita della gente.
La Fiat chiude lo stabilimento di Termini Imerese, dopo aver succhiato contributi regionali e, per giunta, con la presa in giro da parte di presunti imprenditori. Bilancio: tremila disoccupati.
Wind Jet era in difficoltà: sembrava che dovesse arrivare in soccorso Alitalia, già miracolata dal governo Berlusconi. La trattativa fallisce e contribuisce così ad affogare chi già aveva l’acqua alla gola. Cinquecento senza lavoro, migliaia di viaggiatori a terra.
Si grida però allo scandalo quando interviene la Regione, che di sprechi ne ha fatti tanti, come accaduto in altre regioni, ma stavolta, ad onor del vero, sta tentando di salvare un’azienda e, soprattutto, un servizio utile ai siciliani.
Aligrup è sul punto di fallire ed ecco presentarsi la «mamma» di tutti i supermercati nazionali, la Coop. Anche qui trattative lunghe, mentre diversi negozi cominciano a svuotarsi di prodotti e di clienti. Milleottocento dipendenti, seguono con apprensione una lenta agonia.
Per i benpensanti fa scandalo che il governo Monti venga in soccorso agli enti pubblici siciliani in pieno deficit. Riconosciamo che la responsabilità è di Regione e Comuni. Ma che si fa? Si fanno fallire? O non si pagano gli stipendi a migliaia di dipendenti?
Ha fatto scandalo anche la lunga telenovela del Ponte. Rinfacciato ai siciliani come il male assoluto. Però è a Roma che c’è in vita un megaufficio di 54 stanze con un affitto di un milione e duecentomila euro l’anno, dove vi lavorano 53 persone al costo di sei milioni di euro. A Roma e non in Sicilia. A Messina c’è solo una succursale. Storia lunga quella del Ponte. Cominciò Prodi, allora presidente dell’Iri, a finanziarlo con due miliardi di lire, spariti nel nulla; poi Berlusconi, preso dall’orgoglio di intestarsi un’opera che avrebbe fatto epoca, stanziò altri soldi, però con l’arrivo di Prodi al governo i fondi furono stornati per opere viarie in Sicilia e in Calabria. Ma si persero, è il caso di dirlo, per strada. Eppure nel centrosinistra si erano dichiarati favorevoli. A Di Pietro non dispiaceva. Bianco e Rutelli, ad esempio, ne fecero oggetto nel 2001 della loro campagna elettorale. L’ex sindaco di Catania fece addirittura affiggere dei manifesti, mentre Rutelli proprio sullo Stretto di Messina annunciò la data dell’inaugurazione. Il Ponte non era dunque il diavolo che ora si vuol far credere. Che si siano spesi a vuoto tanti soldi è vero, ma non gettiamo la colpa tutta sui siciliani, ai quali è rimasto solo il fumo e non l’arrosto.
Caro professor Monti, lei che giustamente vuole moralizzare il Paese, guardi anche la Sicilia, dalle mille sofferenze e dalle altrettante umiliazioni. Finiamola col prenderci in giro, nel dichiarare che il Sud costituisce il problema vitale dell’Italia. Non sappiamo se la classe politica che uscirà fuori dalle prossime elezioni regionali riuscirà a cambiar musica. Diversamente, ascolteremo soltanto un «de profundis».
E i siciliani, pur con tutti i loro errori – specie i giovani che sono senza colpe – non meritano questa fine.
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