Last updated on Ottobre 3rd, 2012 at 04:05 pm
Ci sono luoghi sulla Terra dove la mente razionale si scontra con arcani misteri, silenzi e domande rimandate al mittente. Il triangolo delle Bermude, le figure di Nazca del Perù, il deserto del silenzio del Messico, Stonehenge sono solo alcuni di questi siti che hanno prodotto numerose pubblicazioni piene di teorie ma nessuna certezza scientifica.
Anche in Sicilia esiste uno di questi siti purtroppo poco conosciuto dai grandi flussi turistici: l’altopiano dell’Argimusco. Dal greco Argimoschion, altopiano delle grandi propaggini, sorge a 1200 metri sul mare, vicino al borgo medioevale di Montalbano Elicona, nel territorio di passaggio fra i Monti Peloritani ed i Nebrodi.
Al visitatore l’altopiano si presenta spoglio, pur essendo contiguo con l’antico bosco di Malabotta; un vasto tappeto di felci punteggiato da rari arbusti di agrifoglio, fanno da palcoscenico a megaliti sparsi in un apparente disordine. Una misteriosa atmosfera sembra avvolgere questo luogo mentre lo sguardo si posa all’orizzonte sulla mole dell’Etna, il mar Tirreno, le isole Eolie e il rassicurante manto verde dei Nebrodi. Il silenzio che pervade il pianoro viene interrotto solo dal rumore del vento e della pioggia che si insinua fra questi enormi blocchi di calcare modellandoli in “forme” dall’irresistibile fascino arcano.
Camminando lungo il sentiero che tocca queste inquietanti presenze di pietra incontriamo i simboli della fertilità, i Menhir (dal bretone men pietra e hir lungo) maschile e femminile, tra i quali si osserva il sorgere del sole. Più avanti si incontra il Mammut, seminascosto da un agrifoglio, e il Volto, masso dall’espressivo profilo umano. In lontananza, verso nord si staglia sul limpido cielo l’Aquila il cui becco sembra indicare la direzione di una necropoli. Basta però spostare di qualche metro la prospettiva di visualizzazione che la “presenza” ritorna semplice pietra e l’arcano svanisce nell’immobilità della roccia.
Al centro del pianoro, se si può parlare di centralità in questo altopiano, i due più enigmatici megaliti. La Dea Orante, uno stupefacente profilo di donna che si stenta a credere sia solo frutto della natura, in atteggiamento di preghiera. Un osservatore più attento noterà dettagliatamente le mani giunte, il lungo velo, il volto e l’aureola. Allineato alla Dea Orante si nota il volto gigantesco della Grande Rupe, dal varco creato fra questi due megaliti si osserva il tramonto del sole. Questo pianoro è anche ricco di numerosi Mehir, testimonianza di una antica necropoli; si trovano pure i Cubburi, monumenti funerari di pietra trasformati e utilizzati dai pastori per il ricovero appartenenti alla categoria dei Tholos.
Tutte queste mute testimonianze sembrano ipotizzare che questo territorio, posto in posizione strategica, sia stato un luogo sacro dove si svolgevano rituali legati al ciclo delle stelle e dei solstizi. Ma queste, probabilmente, sono solo teorie.
La verità è ancora celata nella fissità di queste enormi pietre.
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