Last updated on Ottobre 3rd, 2012 at 05:16 pm
I partiti hanno schierato venerdì i loro uomini per la competizione del 28 ottobre. Tolti i governatori, in grande maggioranza sono gli stessi. Nel calcio di solito si dice: squadra che vince non si cambia. In verità il bilancio finale non è esaltante. Anzi, è deprimente. Col rischio che scoppi anche a sala d’Ercole, come sta accadendo in molte regioni italiane, lo scandalo dell’uso dei fondi da parte dei gruppi parlamentari della passata gestione. E dato che sono quasi tutti confermati e dato che con molta probabilità li rivedremo tra i novanta eletti, non nascondiamo di temere una implosione del nuovo Consiglio.
Speriamo che ciò non accada, soprattutto per il bene della Sicilia.
Ci siamo, difatti, chiesti se questa regionopoli sia come la tangentopoli di vent’anni fa. Potrebbe essere peggiore. E vi spieghiamo perché.
Allora la corruzione correva tra i privati che sovvenzionavano i partiti per ottenere appalti e favori, ora sono i soggetti politici che, sotto la copertura di norme studiate ad hoc (come accaduto alla Regione Lazio), hanno saccheggiato le casse pubbliche. Con l’aggravante di dovere assistere a questa inqualificabile mangiatoia con un Paese, non parliamo addirittura della Sicilia, ridotto al lumicino. E se gli scandali dell’inizio degli anni Novanta portarono alla fine della prima Repubblica, quelli di oggi, forse, potrebbero chiudere la seconda Repubblica.
Non per nulla occorreva un uomo al di sopra delle parti, Mario Monti, per dichiarare il fallimento politico dei partiti e degli uomini che li hanno guidati. A sinistra, ricordiamo l’infausta caduta di ben due governi Prodi, traditi dagli stessi alleati; a destra, il disfacimento dell’armata berlusconiana, tradita dai compagni di viaggio, prima Bossi, poi Casini e buon ultimo quel Fini che per sopravvivere dichiara guerra al Cavaliere che lo aveva sdoganato dai retaggi del fascismo.
Adesso agli italiani si presentano due occasioni per verificare se il Paese è pronto a voltare pagina e, magari, a fondare una terza Repubblica. La prima occasione potrebbe verificarsi tra un mese in Sicilia con l’elezione del nuovo governatore; la seconda sarà tra meno di otto mesi e, naturalmente, dovrà decidere il futuro dell’Italia. I sondaggi prevedono, almeno ora, in queste due consultazioni un massiccio astensionismo. Malaffare all’interno delle istituzioni e sgretolamento dei due partiti maggiori, più il Pdl che il Pd, non danno molte certezze per il futuro. La «riserva», in questo caso Monti, fa comodo.
Alla luce di questa situazione, ciò che accadrà in Sicilia avrà riflessi nazionali. Qui da noi c’è una Regione paralizzata da liti personali, veleni, furberie, continui cambi di casacca. Addirittura anche una maggioranza uscita dalle urne è stata capovolta. Secondo accordi di bottega. I candidati oggi giocano sulla loro onorabilità (?) e sulla legalità (?). Gli interrogativi sono d’obbligo.
Un ammaccato centrodestra cerca in Nello Musumeci il simbolo per tornare a sperare; un diviso centrosinistra punta su Crocetta per tentare di unire le sue forze. Ci sarà poi da verificare se funzionano alcune alleanze, soprattutto quella tra Pd-Udc, con il Sel che invece va per la sua strada assieme all’Idv, con l’inatteso inciampo burocratico del caso Fava. Nel mezzo dei due contendenti, Crocetta e Musumeci, c’è Gianfranco Miccichè, figlio di una diaspora berlusconiana e ora alleato dell’ex avversario Raffaele Lombardo.
Ma non è il gioco politico che ci preoccupa. E’ invece il timore che eventuali scandali, sinora sottotraccia, avvelenino quello che resta del corpo martoriato della Sicilia. Sarebbe come dare una medicina sbagliata a un ammalato grave. E qui sarà difficile avere un medico alla Mario Monti.
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