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Il nome del paese era «Linguagrossa», la denominazione è così scritta sul palazzo comunale; gli abitanti in dialetto si chiamano “linguarussisi” e il paese “Linguarossa”: “rossa” in siciliano vuol dire “grossa”, forse derivante dalla forma di lingua della vallata in cui sorge il paese, oppure dalle sette lingue di lava sulle quali, secondo la tradizione, il paese è stato costruito. La leggenda vuole, invece, che qui abitasse un fabbro ferraio, secondo altri era un fondacaio molto ciarlone, oprannominato perciò “Mastru Linguarossa”. Proprio su questo personaggio si fonda una’antica leggenda. C’era una volta, a mezza strada tra Mascali e Randazzo, nella selva rigogliosa dei pini etnei, un piccolo fondaco, e dentro al fondaco, c’era il fondacaio.
Un uomo nè bello, nè brutto; nè grasso, nè magro; un solo vizio aveva: di tutti diceva male, contro tutti imprecava, ingiuriava i clienti, la moglie e i parenti della moglie, aveva insomma una lingua grossa, per questo lo chiamavano Mastro Lingua grossa. Nella calura del mezzogiorno, per le trazzere segnate sulla sciara screpolata dalla sfera del sole traballano i carettieri che scendevano da Randazzo e dicevano i carettieri: «Caldo fa, compare, fermiamoci laggiù, al fondaco di Lingua Grossa». Salivano i carettieri dalla marina incontro a nevischio che sferzava la faccia e gelava le mani ed erano indecisi se dovessero ritornare indietro: «A Randazzo, a quest’ora, ci saranno due palmi di neve. Sapete cosa vi dico, compare? Che è meglio che pernottiamo qui nel fondaco di Mastro Lingua grossa». Se i muli avevano le cosce rotte dalla fatica, li facevano riposare a mezz’ora di strada, nel fondaco di Lingua grossa, nel fondaco di Lingua grossa i carrettieri e i bordonari si fermavano a prendere un boccone, o a contrattarvi le fave, la germana e l’orzo; vi dormivano o vi litigavano.
Ma chi litigava di più era il fondacaio, borbottava e gridava, rifilava ad ognuno la sua, ed era conosciuto sino a Catania, a Messina, e tutti dicevano del fondaco di Lingua grossa, lo dicevano quando Mastro Lingua grossa era ancora vivo, continuarono a dirlo anche quando il fondacaio ebbe chiusi gli occhi per sempre. Passarono gli anni. Attorno a fondaco di Lingua grossa furono costruite le prime case, due, dieci, tante case, e anche per quelle case restò il nome di Lingua grossa, il nome cioè del fondacaio che c’era una volta, e ora non c’è più, e c’è invece il suo paese fresco e lindo, con la Matrice e il Palazzo di Città, col monumento alla Madonna della Pineta e la Fontana dei Mori, con le sue strette vie e le ampie piazze, con i suoi infaticabili abitanti, con le botteghe, e con le sue scuole.
Foto di Massimo Lo Giudice.
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