Sono divenuti ormai uno dei passatempi preferiti dagli adulti, ma soprattutto dai bambini e dai ragazzi. Sono andati via via sostituendo i giochi tradizionali, investiti dall’evoluzione tecnologica moderna. Il videogioco rappresenta l’irresistibile canto delle sirene, volto a soddisfare il bisogno di giocare degli individui.
Da un po’ di anni è vivo il dibattito sui rischi di questo nuovo approccio ludico specialmente tra la popolazione più giovane, quali bambini e adolescenti. Da un lato si riconoscono gli effetti positivi dei videogiochi, soprattutto quando ci si riferisce, per fare un esempio, ad una sfera di tipo didattico educativo. Ad essi viene riconosciuto un potere motivante molto forte ed una capacità di catturare e mantenere l’attenzione, utilizzando contemporaneamente anche più canali sensoriali di stimolazione. Le potenzialità possedute dai videogiochi, quindi, possono far riflettere sul fatto che, spesso, non è lo strumento di gioco ad essere nocivo di per se stesso, ma il loro utilizzo spropositato. I segnali preoccupanti, come riporta uno studio condotto da Siipac.it, derivano dagli utenti che cadono nella rete della dipendenza e che rivelano segnali di “videoabuso” o “videofissazione ”, ossia la prolungata esposizione ad un videogame, senza pause che vede il giocatore completamente assorbito dal gioco. Uno dei punti-chiave del videoabuso e della videodipendenza è la sfida tra individuo e macchina che si instaura attraverso il gioco, una competizione radicata nel bisogno di dimostrare a se stessi e all’ “antagonista virtuale” il proprio valore e le proprie capacità.
Perché vietarli può non essere una buona soluzione
Molte volte l’atteggiamento dei genitori di fronte a figli che giocano accanitamente è quello di vietargliene l’uso (il divieto si presta molte volte come pretesto di punizioni e castighi), come dimostra uno studio pubblicato da Casinoheroes.org su come il gioco e la competizione siano innati nell’essere umano.
A tal proposito, la psichiatra Susana Calero, specializzata nello studio e nel trattamento della ludopatia, che si è occupata di analizzare la problematica del gioco negli adolescenti, ha dichiarato:“il gioco e la competizione sono innati nell’essere umano, quindi le persone, tenteranno in ogni modo, di cercare il luogo e il momento per dedicarsi all’attività, ragion per cui il divieto di qualcosa in particolare, non può cambiare l’attitudine dell’individuo”. E aggiunge “L’unico modo per rendersi conto che il semplice giocare non si traduca in problematiche patologiche, è avere la capacità di riuscire a darsi dei limiti prima che la situazione si faccia complicata” .
Il problema della solitudine
La dottoressa ritiene che un ruolo fondamentale è giocato dalla relazione che i genitori instaurano con i propri figli, infatti ha rilevato che gli adolescenti implicati nello studio che ha condotto, hanno dichiarato che i propri genitori, quasi mai propongono attività familiari, né li includono nei loro progetti di intrattenimento. “Quando il gioco diventa un problema per i ragazzi, è da ricollegare anche al loro stato emozionale scaturito dalla solitudine”.
I ragazzi sono sempre più attratti e sottoposti a stimoli ludici provenienti anche dalla rete, dalla multimedialità e dalla qualità sempre più accattivante dei videogiochi. La loro videografica, molto spesso riproduce gli effetti di un film o del loro personaggio preferito, per cui si sentono come i reali protagonisti di una storia “virtuale”. Il rischio più grande che corrono è quello derivato dall’individualismo e dallo stato d’isolamento che possono derivare da comportamenti inadatti. E’ importante ricercare una soluzione che permetta di trovare un equilibrio educando ad un sano rapporto con la tecnologia e le sfide cui ci sottopone ogni giorno.
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