Il presidente dell’Ars. «Si incardini subito il ddl che destina alla Regione le tasse di estrazione».
L’accordo tra Regione ed Assomineraria sulle trivellazioni in mare e sul territorio siciliano ha riaperto una vecchia ferita: lo “scippo” da parte dello Stato delle accise sui prodotti petroliferi (benzina e diesel) raffinati in Sicilia.
Una cifra che cambia a seconda da chi fa le stime, ma si tratta comunque di somme ingenti, dell’ordine dei miliardi di euro. È bene puntualizzare che è l’art. 36 dello Statuto speciale a riservare questi incassi, come quelli sui prodotti del Monopolio, all’Erario. Uno Statuto nato troppo frettolosamente, nel maggio del 1946, quando nessuno poteva immaginare ciò che sarebbe accaduto qualche anno dopo grazie a Enrico Mattei.
L’articolo va rivisto: l’Ars ha approvato da mesi una legge-voto di riforma costituzionale dello Statuto che finora è rimasto chiuso nei cassetti delle più alte cariche del Senato: il presidente, Grasso, e il presidente della commissione Affari costituzionali, Finocchiaro. Entrambi siciliani.
Per le nuove trivellazioni di petrolio e gas, l’accordo firmato dal presidente della Regione, Crocetta, prevede che la società che si dovrà occupare delle estrazioni dovrà avere sede legale in Sicilia. E in Sicilia dovrà pagare le tasse. Non come avviene per le raffinerie che versano i tributi nelle regioni in cui hanno sede legale: prevalentemente in Lombardia. Questo, a regime, porterebbe nelle casse regionali da trecento a cinquecento milioni di euro l’anno. Oltre alle ricadute occupazionali che al momento non si possono stimare.
Per il presidente dell’Ars, Ardizzone, che non è contrario alle trivellazioni, «chi estrae e raffina il petrolio in Sicilia deve pagare le imposte di produzione nell’Isola. Non siamo più disposti ad alimentare le casse del “Nord ladrone”. Si incardini immediatamente il disegno di legge-voto che consente la modifica dell’art. 36 dello Statuto che prevede di riversare nelle casse dello Stato tali imposte e si dia piena attuazione all’art. 37 per assicurare alla Sicilia anche il gettito fiscale delle imprese che hanno sede legale altrove».
In Italia si raffinano circa cento milioni di tonnellate di greggio ogni anno; in Sicilia se ne lavorano 37 milioni, pari al 37%. In Italia si consuma il 54% del greggio raffinato (il resto viene esportato); in Sicilia si consumano annualmente quattro milioni di tonnellate di carburanti, pari all’8% del consumo nazionale. Lo Stato, sui prodotti petroliferi raffinati nell’Isola, incassa circa dieci miliardi di euro (circa il 40%) l’anno, a fronte di un introito complessivo di circa 24 miliardi.
Per il consumo di prodotti raffinati in Sicilia, l’incasso dello Stato è di circa 1,5 miliardi, pari al 6%. Inoltre, ammonterebbero a circa tre miliardi le somme che le società proprietarie delle raffinerie siciliane versano, tra Irpef e altre imposte, nelle casse delle Regioni in cui hanno sede legale.
Occorre una stringente trattativa, a livello istituzionale, affinché lo Stato restituisca almeno una parte delle accise alla Sicilia (l’intero incasso manderebbe in default i conti nazionali). Soprattutto, necessita che subito le aziende versino Irperf e Irap nelle casse regionali. Sarebbe un grande passo in avanti. Ma a Roma c’è molta ritrosia ad aprire questo capitolo.
Lo stesso Ardizzone ha rivelato di avere sollecitato Grasso e Finocchiaro a incardinare il disegno di legge-voto. Finora non è successo nulla. Invece, sarebbe l’ora che si aprisse un dibattito sul contributo finanziario che la Sicilia dà allo Stato, invece di essere additati come spendaccioni – in parte è vero – brutti e cattivi.
Ma per Granata, presidente di Green Italia, «Crocetta non intende impugnare per incostituzionalità gli aricoli dello “Sblocca-Italia” che riguardano la liberalizzazione delle ricerche petrolifere» perché pagherebbe una sorta di tangente per «ottenere la rigenerazione verde della raffineria di Gela». Lillo Miceli de La Sicilia
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