“SBLOCCA ITALIA”. Alle Regioni niente più potere di veto sulle autorizzazioni. Partiti e ambientalisti in trincea. E il governo regionale rompe il silenzio.
La curiosità è tanta. Di vedere cosa succederebbe se si facesse davvero come promette-minaccia il sindaco di Pantelleria: «Riempiamo il mare di passito contro le trivellazioni».
Ma adesso la cosa si complica. Perché nello “Sblocca Italia” c’è una norma che di fatto lo rende uno “Sblocca Trivelle”. Togliendo alle Regioni il potere di veto sulla ricerca e sulla trivellazione di pozzi di petrolio e di metano. A monte c’è la Strategia energetica nazionale (Sen), che vuole più che raddoppiare entro il 2020 l’estrazione di idrocarburi in Italia, fino a 24 milioni di barili l’anno.
Si ipotizzano «investimenti per 15 miliardi di euro, 25 mila nuovi posti di lavoro e un risparmio sulla fattura energetica nazionale di 5 miliardi all’anno». Inoltre è atteso un miliardo di euro extra di introiti fiscali annui. D’ora in poi, infatti, lo sfruttamento degli idrocarburi riveste «un’importanza strategica», certifica il testo del decreto discusso in Consiglio dei ministri. Idem per gasdotti, rigassificatori e depositi di stoccaggio del gas naturale, compresi quelli sotterranei.
Che Matteo Renzi puntasse forte sui combustibili fossili non era un mistero nemmeno prima del decreto, quando il premier aveva già chiarito il suo pensiero: «La Basilicata e la Sicilia sono meglio del Texas» e «il Mar Mediterraneo è pieno di oro nero», ma non si può «raddoppiare la percentuale del petrolio e del gas» né «dare lavoro a 40mila persone» perché si ha «paura delle reazioni di tre-quattro comitatini».
Molte delle Regioni interessate dallo “Sblocca Trivelle” – soprattutto Abruzzo, Puglia e Basilicata – hanno alzato le barricate. Ma dalla Sicilia nessuna voce è uscita dal governo Crocetta. Che, negli ultimi mesi, ha avuto un atteggiamento ondivago rispetto all’argomento. Perché il 4 giugno scorso firmò un accordo con Assomineraria (l’associazione che unisce le compagnie petrolifere) per il «rilancio degli investimenti in Sicilia che permettano l’utilizzo razionale della risorse di gas e petrolio, intensificando gli strumenti dedicati alla sicurezza e al rispetto dell’ambiente». Un investimento complessivo di 2,4 miliardi, con un’occupazione stimata intorno alle 7.000 unità.
Nel dettaglio si tratta di una corsia privilegiata per l’iter di alcune attività produttive: sviluppo di giacimenti nel Canale di Sicilia (progetti off-shore “Ibleo” e “Vega B”) e a terra (progetto on-shore “Irminio”); potenziamento della produzione on-shore in siti esistenti (5 campi); permessi di attività di ricerca nei campi “Scicli” e “Case La Rocca” a Ragusa (Irminio), “Petralia Soprana” e “Biancavilla” (EniMed), “Contrada Giardinello”, al confine fra Ragusa e Catania (EniMed-Irminio- Edison), più altre due istanze «per il conferimento del permesso esclusivo di idrocarburi liquidi e gassosi» nel Canale di Sicilia, al largo della costa del sud-est. Ma poco più di un mese dopo, lo stesso Crocetta – al culmine dello scontro con l’Eni sulla vertenza Gela – minacciò i petrolieri: «Non vi autorizzo più nulla, anzi vi chiudo tutti i pozzi».
Infine, dopo l’accordo di fine luglio fra azienda e sindacati, il silenzio.
Adesso, sollecitata dal nostro giornale, a rompere il ghiaccio è l’assessore regionale al Territorio e ambiente, Mariarita Sgarlata. La quale, stretta nel dualismo fra il vissuto ambientalista di mille battaglie siracusane e il nuovo ruolo istituzionale, parte da lontano: «Con lo sblocca Italia in materia di politiche energetiche paghiamo, come Regioni, il prezzo delle inefficienze, dei lacci burocratici e dei ritardi nel rilascio delle valutazioni ambientali degli ultimi anni».
Questo pregresso, secondo l’assessore, «spiega l’articolo 45 del nuovo decreto che prevede il trasferimento delle valutazioni ambientali dalle regioni al ministero dell’Ambiente, in linea con la riforma del Titolo V della Costituzione in fieri». Il «repentino cambio di rotta del governo nazionale trova giustificazione in una nuova centralità delle politiche energetiche dell’Italia», che considerano la ricerca e l’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi «attività di pubblica utilità urgenti e indifferibili». Infine, l’affondo: «Condivido pienamente le preoccupazioni delle altre regioni del Sud e degli enti locali – ammette Sgarlata – e ritengo necessario rivendicare con fermezza una severa attività di controllo per prevenire interferenze sugli ecosistemi e impatti negativi sull’ambiente».
Intanto le accuse arrivano da destra e sinistra. «La Sicilia non ha bisogno di nuovi sceicchi della politica», dice il senatore Forza Italia, Giuseppe Ruvolo. E Fabio Granata, “No Triv” nell’anima anche quand’era in An, attacca ora da coordinatore nazionale di Green Italia: «La Sicilia non è un hub petrolifero, Renzi e Crocetta troveranno ben altro che comitati locali sulla loro strada: esiste un’Isola a che ha puntato su turismo, cultura, rinnovabili e agricoltura che non intende farsi ancora demolire in nome di interessi delle multinazionali».
Intanto l’iter per nuovi impianti prosegue. Il sottosegretario ai Beni culturali, Ilaria Borletti Buitoni, ha risposto all’interrogazione dalla senatrice del Pd, Venera Padua, sulla «salvaguardia del patrimonio Unesco e monumentale, alla luce della presenza di un numero sempre maggiore di piattaforme petrolifere a Scicli e nell’area iblea, compreso lo specchio d’acqua antistante la costa».
Il sottosegretario ha riferito che, sull’off-shore, per il ministero dell’Ambiente «l’istruttoria tecnica riguardante lo sviluppo del giacimento Vega, distante 20 chilometri dalla costa di Ragusa, si è conclusa con un decreto di autorizzazione con prescrizioni, mentre la procedura di Via per l’istanza di perforazione di un pozzo esplorativo denominato “Vesta” al largo delle province di Siracusa e Ragusa, ad una distanza di 45,9 chilometri dalla costa, non si è ancora conclusa e la commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via-Vas sta ancora svolgendo l’istruttoria tecnica». È stata inoltre sottolineata «l’importanza di effettuare puntuali verifiche su un eventuale impatto visivo che le installazioni possono apportare ai beni iscritti nella lista dell’Unesco». Così si legge nei resoconti del Senato, con data lunedì 8 settembre 2014. Preistoria, da qui a poco.
twitter: @MarioBarresi – Mario Barresi de La Sicilia
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