Un tappeto umano si è riversato lunedì sera lungo il corso Vittorio Emanuele e il Foro Italico. È piaciuto ai palermitani e ai turisti lo spettacolo popolare «Solitaria di Dio» di Monica Maimone col racconto di Santa Rosalia al femminile. Il Festino è un appuntamento irrinunciabile per celebrare la memoria del passato e la fiducia nel futuro, la speranza che, come ha sostenuto il card. Paolo Romeo, si ottenga attraverso l’intercessione della Santuzza la liberazione dalle tante pesti di oggi. Su tutte la piaga della disoccupazione, specie quella giovanile, e la mancanza di vocazione da parte dei politici.
Il 390° Festino si è consumato con un forte messaggio di fiducia e di speranza, in un linguaggio universale fatto di immagini e musica.
La lunga notte della festa è iniziata alle 21.30 sul Piano della Cattedrale con al centro del Cassaro il carro trionfale ideato da Renzo Milan, uno scafo stilisticamente barocco ricco di finti marmi. All’interno cinque Pietà con donne figuranti. Sopraelevata si ergeva la Santa giovanissima con forme morbide, vesti barocche impreziosite da merletti. Reggeva nella mano destra il giglio e nella sinistra il crocifisso. La Rosalia di questa edizione è opera dello scultore Domenico Pellegrino. I flash di migliaia di telefonini hanno immortalato le scene del 390° Festino. A deturpare la scenografia una gigantesca pubblicità di una banca sulla facciata della Cattedrale. Alle 21.30 le luci si abbassavano e su una terrazza del Duomo di città appariva la cuntastorie Serena Lao, che cominciava a raccontare la vicenda in siciliano con il controcanto della libanese Soraya Alhanbale trapiantata a Palermo da lungo tempo. Da quel momento si sono intrecciate otto storie della durata di 45 minuti. La performance partiva con una Rosalia fanciulla, damigella di Margherita di Navarra, trasportata su di un palcoscenico mobile. Subito dopo entrava in scena re Ruggero disarcionato dal suo cavallo bianco, alle prese con un serpente dalla forma di donna astuta. In agguato anche una tigre pronta a sbranare il re. In aiuto di Ruggero arrivava il conte Baldovino che poi gli diceva in dialetto: «M’aviti a dare in sposa Rusulia».
Nel quarto quadro il sacrificio della fanciulla che, se pur affascinata da Baldovino, preferiva vivere in povertà lontano dalla reggia normanna. La ragazza fuggì e chiese ospitalità alle suore basiliane. Sul transetto della Cattedrale apparivano dieci suore vestite di bianco che cantavano e altre quattro su un carro mobile che l’accoglievano. Il primo atto fu quello del taglio di capelli con la badessa che le spiegava le rigide regole di clausura. Poi una mattina mentre Rosalia si pettinava, le era apparso allo specchio Gesù coronato di spine. Così la ragazza prendeva la decisione di allontanarsi dal monastero per intraprendere l’eremitaggio prima alla Quisquina, poi sul Monte Ercta. Molto suggestiva l’immagine che vedeva una Rosalia camminare in verticale sulle mura della Cattedrale.
Si passava velocemente da una scena all’altra. Ed eccoci a Palermo attanagliata dal castigo della peste per colpa dell’ingordigia del viceré Emanuele Filiberto. Dall’alto dei campanili scendeva la morte. Il palcoscenico del Piano con l’illuminazione metteva in luce le architetture e dava forti emozioni.
L’ultimo quadro con la figura del saponaro Vincenzo Bonelli. Era disperato per la morte della moglie per peste e pensava di buttarsi giù dall’alto di una rupe del Monte Pellegrino. E mentre stava per farlo, gli apparve una figura di Luce. La storia racconta che la pellegrina prese per mano il saponaro e lo portò nella sua grotta. All’interno il Bonelli le chiese chi fosse. La giovane rispose che era Rosalia. La figura di luce mandò le sue ossa in città perché fossero custodite e affinché allontanassero il flagello. Il card. Giannettino Doria apprese la rivelazione del Bonelli come segno finale del processo. Le ossa ritrovate furono riconosciute come quelle di Santa Rosalia. Da allora migliaia di appestati guarirono improvvisamente. E giù una cascata di applausi del pubblico presente.
Lungo il Cassaro il carro si spostava trainato da sessanta donne. E la festa continuava a piazza Vigliena. I balconi di palazzo Costantino e di Napoli erano gremiti di ospiti. Ai Quattro Canti di Città, il luogo chiamato anticamente «Teatro del Sole», come tradizione saliva sul carro trionfale il sindaco Leoluca Orlando, che, dopo aver preso in braccio una bambina e averle dato un bacio, rivolto al pubblico pronunciava la famosa frase «Viva Palermo e Santa Rosalia». E giù una pioggia di petali rosa, accompagnata da applausi. A quel punto partiva l’esecuzione dedicata alla Santuzza «E ti viu passari» composto da Mario Incudine. Poi la lunga marcia verso il mare.
I balconi delle dimore di corso Vittorio Emanuele erano tutti spalancati e stracolmi di persone. Alzando gli occhi si potevano ammirare anche alcuni seicenteschi soffitti lignei dipinti.
All’altezza della chiesa di Porto Salvo un venditore di torrone magnifica il suo prodotto: «È buono e croccante, compratelo. Chi lo compra lo ricompra. Una tavoletta 4 euro». Quando passò il corteo la voce tuonante del venditore ingaggiava una sfida all’ultimo decibel con i tamburi. Altre bancarelle diffondono profumo di zucchero e miele. E c’era chi aveva notato che i vetri dei lampioni di corso Vittorio Emanuele erano stati puliti nella mattinata da operai del Comune per l’occasione del Festino.
Al Foro Italico partiva un programma musicale coordinato da Mario Incudine con canzoni e danze. Si esibivano Antonio Vasta, Manfredi Tumminello, Antonio Potzu, Pino Ricosta, Francesca Incudine. A presentare lo spettacolo Massimo Minutella.
Il finale con una partitura creata da Valerio Festi in sincronia con i fuochi d’artificio. Musiche sulle note di «Feux d’artifice» di Stravinskij e «Ouverture solennelle 1812» di Tchaikovskij. Vincenzo Prestigiacomo la sicilia
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