Un occhio intento a forgiare le città in cui viviamo, l’altro a prefigurarne il volto futuro. La mission riassunta nel nome, Cityvision (visione della città) – Laboratorio italiano d’architettura indipendente. Dalla sua fondazione a Roma nel 2010 ha prodotto progetti interdisciplinari fortemente innovativi.
Oggi, è alla vigilia di un importante riconoscimento internazionale da ricevere a Los Angeles, vetrina del suo essere realtà professionale unica in Italia. Dal 6 al 23 marzo 2014, le sue proposte urbane sin qui realizzate, saranno oggetto di “Worlds of Cityvision”, mostra promossa dalla Woodbury University in collaborazione con l’Istituto italiano di Cultura di Los Angeles, alla Wuho Gallery.
Francesco Lipari, architetto siciliano originario di Campofranco, classe 1980, coinvolto creativamente nella ormai famosa Farm Cultural Park di Favara, co-fondatore assieme all’architetto Vanessa Todaro, introdurrà il lavoro dello studio italiano in 3 giornate: il 4 marzo a Los Angeles alla Woodbury University, il 7 marzo a San Diego, l’8 marzo alla sede di Tijuana.
La prima anticipazione la dedica però al quotidiano La Sicilia. «Alla Wuho Gallery – afferma Lipari – verranno esposte per la prima volta tutte le proposte visionarie che il laboratorio ha elaborato negli ultimi quattro anni. Opere iconiche tratte dai concorsi internazionali sul futuro di Roma, Venezia, New York e Rio de Janeiro, assieme ad un’installazione site specific».
In che modo, il vostro immaginario si differenzia dagli altri?
«Fare architettura significa anche investigare su nuovi modelli architettonici. Lavoriamo ad un nuovo modello di città, ispirandoci al libro “Future Shock” di Alvin Toffler. Il futuro è stato “fregato” dal passato e quel futuro che avevamo sognato, non si è realizzato. Ci troviamo in una regressione che ci porta solo a sopravvivere, ad immaginare la città in modelli sempre già costituiti, ma ormai inadeguati. La meraviglia è rappresentata da chi supera questa visione».
Partito dalla Sicilia, Francesco Lipari si è laureato in architettura a Roma Tre nel 2005 con una tesi in restauro. Riprendendo un disegno mai realizzato di Borromini, ha integrato la sua passione per il barocco alla voglia di rivedere la città in modo contemporaneo. In seguito ha lavorato con lo studio Fuksas di Roma (architetto senior, ma lui dice solo “lavorato”) e il rinomato Mad di Pechino. Dalla Cina, ha fondato nel 2009 “Ofl Architecture”, un laboratorio di ricerca interdisciplinare il cui obiettivo è stabilire possibili relazioni tra la città e le condizioni urbane esistenti. Nuovi metodi, capaci di integrare anche altre discipline: l’arte, la scultura, la biologia, il cinema. Sul finire dello stesso anno, è entrata a far parte dello studio Vanessa Todaro, come sua partner associata. Si aggiungano vari premi ricevuti, e la collaborazione indiretta con gli studi Behnisch e Calatrava, che lui omette. Se Lipari rifugge da medaglie sul petto gonfiato della fama altrui, espone invece con dovizia la sua personale formula di lavoro in team e la nascita del summenzionato Cityvision, prima magazine, oggi anche associazione culturale no profit per la diffusione dell’architettura.
Hai trasfigurato l’esperienza degli atelier internazionali d’architettura. È così?
«Sì. Con Fuksas, ad esempio, si lavorava sotto continue iniezioni di paura. Né si riscuoteva una gratificazione. Nei nostri progetti, viviamo esperienze bellissime di creazione e condivisione con i collaboratori e con altri professionisti. A Roma dividiamo lo spazio con Solido 3d, società di prototipazione. Ne deriva uno scambio-baratto di competenze e padronanza delle tecnologie che in tempi di crisi economica, consente soluzioni creative su misura del committente».
Oltre Future Shok, quale testo letterario o opera d’arte si sono cristallizzati nei tuoi progetti?
«Il passaggio da un’arte all’altra è una cosa naturale per chi è cresciuto in Italia ed è abituato a conviverci quotidianamente. E’ questa la più grande fortuna che abbiamo, ovvero vivere in un posto che tutti ci invidiano ma che noi odiamo perché è nella natura delle cose farlo, un po’ come una madre ossessiva che ti soffoca con il suo amore, un amore in questo caso non del tutto sano perché sappiamo bene che in realtà siamo tutti dei “bastardi”, ovvero figli una terra stuprata».
Perché proprio da Pechino, città del futuro, sei tornato in Italia?
«Avevo una grande voglia di cambiare le cose e tantissime idee da sfogare. Realmente, non so perché sono tornato, ma non me ne pento. Oggi lavoro assieme ad un gruppo di persone eccezionali che proprio in questi giorni si impegnano intensamente per permettere a Cityvision di presentarsi al massimo all’appuntamento californiano. Da Stephanie El Hourany a Sebastian Di Guardo e Boris Prosperini insieme a Riccardo Mussati ed Ilja Burchard. Tutti sapientemente guidati da una eccezionale Vanessa Todaro, architetto capace di seguire anche 4 lavori contemporaneamente».
Quale preferisci, tra le città invisibili di Calvino?
«Mi piace Ersilia».
Lucia Russo lasicilia
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