La Corte dei Conti boccia ancora una volta la Sicilia. Stavolta, a finire sotto la lente dei giudici contabili, è la gestione dei fondi Ue, che nell’Isola si trasforma in un vero e proprio coacervo di truffe e irregolarità.
Nella periodica relazione che la Corte ha trasmesso al Parlamento, risulta che la Sicilia è prima nella non lusinghiera classifica delle regioni che hanno frodato di più, con 148,5 milioni di euro che l’Erario dovrebbe recuperare (i dati sono del 2012), mentre seguono – a distacco abissale – la Campania con 17,4 milioni e la Calabria con 12 milioni.
Un quadro nel quale 4 regioni sono state ligie ai controlli (Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Trento, Molise e Lazio), in 8 le truffe si sono attestate sotto il milione di euro (Lombardia, Provincia autonoma Bolzano, Friuli Venezia-
Giulia, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo e Puglia) e altre 4 raggiungono i 3 milioni (Basilicata, Veneto, Toscana e Sardegna). Complessivamente i raggiri sui fondi europei si concentrano per il 94,2% nelle regioni meridionali, l’1,9% in quelle centrali ed il 3,9% in quelle del Nord, e oltre la metà delle somme da recuperare riguarda i programmi regionali, che incidono per il 56,4% su gli importi complessivi.
Quasi la totalità dei soldi che in Sicilia sono stati presi in maniera irregolare provengono dal Po-Fesr, ovvero 147,3 milioni di euro. La Sicilia ha pure una buona fetta di responsabilità riguardo ai fondi a scopo agricolo, i Feaga/Feasr: dalla relazione della Sezione sulle irregolarità e frodi in Campania e Sicilia, è emerso che l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), organismo pagatore per molte Regioni, ha segnalato come nel 2012 il 42,5% delle somme complessive da recuperare si trovino nell’Isola, anche se per il 2013 sembra che la situazione sia leggermente migliorata.
La spiegazione della Corte dei Conti sull’evidente squilibrio tra le regioni è legata al fatto che «gli importi più rilevanti da recuperare – si legge nella relazione – sono riferibili alle Regioni meridionali inserite nell’Obiettivo convergenza (già Obiettivo 1), che sono destinatarie di rilevanti risorse europee e sono influenzate dalla particolare situazione socio-economica locale, caratterizzata da vari fattori negativi connessi alla presenza sul territorio della criminalità organizzata ed a un più marcato ritardo nella crescita economica rispetto alle altre aree».
Ma l’Europa non è solo la scusa per intascare in maniera impropria delle risorse, ma un’opportunità per riequilibrare storture del mercato allargato e abbattere gli ostacoli che frenano la ripresa industriale italiana. La pensa così il presidente nazionale di Confindustria, Giorgio Squinzi, che ieri è stato a Palermo, tappa del tour nazionale per presentare il decalogo delle priorità che gli industriali chiedono al Parlamento europeo di risolvere. Nel capoluogo siciliano Squinzi ha incontrato il presidente regionale di Confindustria, Antonello Montante, e il suo predecessore, Ivan Lo Bello, alcuni eurodeputati siciliani come Giovanni La Via, Salvatore Iacolino e Sonia Alfano, e un nutrito gruppo di imprenditori di tutta la regione, che gli hanno esposto ulteriori criticità.
Tra i punti del “manifesto” di Confindustria rientrano una maggior tutela per le Pmi, un accesso al credito più facile, meno burocrazia, una informatizzazione più diffusa, la tutela dell’agroalimentare nazionale, un sistema fiscale più omogeneo. «Si è parlato inoltre – spiega Sonia Alfano – del vasto problema della reciprocità tra Paesi, che si sostanzia, ad esempio, nella difformità dei controlli. Da noi sono più rigidi, e si rischia di subire una concorrenza sleale. In più gli imprenditori hanno posto la questione del difficoltoso scambio economico con alcuni Paesi sudamericani e dello snellimento delle procedure per i contatti con gli enti locali, in primis con la Regione».
Un confronto, quello tra i politici e il capo di Confindustria, che è sostanzialmente il prosieguo di un percorso che vede l’associazione degli imprenditori al fianco dell’Unione europea nella correzione delle storture del settore. Un impegno che i parlamentari hanno riconosciuto, sottolineando il contributo dato da Confindustria al testo unico antimafia dell’Unione europea e al progetto di una white-list delle imprese sane. Ma sono gli stessi imprenditori siciliani a credere nelle potenzialità – ancora in parte inespresse – dell’integrazione continentale: «Siamo – affermano – europeisti convinti».
Massimo Gucciardo LaSicilia
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