Non era mai accaduto al tempo dei democristiani che due esponenti dello stesso partito si contendessero faccia a faccia la presidenza del Consiglio. Renzi in smart bussa a Palazzo Chigi, ma Letta non gli apre la porta e lui la sfonda.
Francesco Merlo scrive su Repubblica che: “In Italia ci sono quelli che entrano d’argento ed escono di stagno, come Mario Monti, e ci sono quelli che entrano di stagno ed escono d’argento. Al punto che sembrava persino bello e fragile, come il suo amato Dylan Dog del “prima il dovere e poi il piacere”, l’altra sera Enrico Letta mentre moriva combattendo. Sa bene che un minuto dopo la cacciata lo prenderebbero per sciocco e lo deriderebbero come è sempre accaduto a tutti i grandi perdenti, da Martinazzoli a Occhetto, a Mario Segni, a Veltroni… anche se nessuno ne nega mai la nobiltà. Non c’è stato nulla di travolgente nella premiership di Letta, tranne il capolavoro di licenziare Berlusconi senza far cadere il governo del quale faceva parte, ma solo ieri, nel suo giorno da leone, ha smentito in poche ore la sua presunta democristianità, che gli avrebbe imposto, come gli aveva suggerito Tabacci, di trattare la resa e di accettare il ministero degli Esteri”.
Mario Calabresi, direttore de La Stampa, sostiene che “questo strappo che si sta consumando è figlio naturale dell’opinione pubblica del nostro tempo, di un paese impaziente che chiede spallate, forzature, che sogna fuochi catartici e non sopporta più i tempi lunghi”.
Ernesto Galli Della Loggia sostiene sul Corriere della Sera che “le anomalie talvolta costano care e presto potrebbe accorgersene proprio Renzi. Sostanzialmente inviso ad una parte notevole del suo partito, la vera forza del sindaco di Firenze è stata fino ad oggi nella simpatia e nel consenso che egli sapeva suscitare nell’opinione pubblica. Ma quando siederà a Palazzo Chigi – non portatovi però dal successo elettorale, bensì da una decisione interna del Pd – sarà principalmente con il suo partito che se la dovrà vedere. Da presidente del Consiglio – arrivato tuttavia nel modo che proprio lui aveva tante volte condannato: per designazione di una nomenclatura di partito – non potrà fare appello ad alcuna volontà popolare, ad alcun patto politico con gli elettori. Solo, alle prese con quegli intrighi, quelle giravolte, quelle vendette abituali nel campo dei democratici che oggi amareggiano il triste commiato di Letta e che domani cominceranno subito, implacabilmente, a lavorare ai fianchi anche lui”.
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