«Matricola 87833». Dal carcere di Rebibbia parla chi fu l’uomo più potente di Sicilia. Oggi, da detenuto per mafia, conta i giorni che mancano alla fine pena: 5 dicembre 2015.
Anticipiamo ampi brani dell’intervista realizzata da Michela Giuffrida, direttore del tg di Antenna Sicilia, con l’ex governatore Salvatore Cuffaro detenuto a Rebibbia. L’intervista verrà trasmessa stasera alle 21.10 su Antenna Sicilia.
Michela Giuffrida
Nel supercarcere di Rebibbia, isola di filo spinato e fotoelettriche nel cuore della Tiburtina, la trafila burocratica per ottenere il colloquio con la «matricola 87833» è la stessa che per gli altri. Firme, timbri, autorizzazioni, limitazioni.
Per lui come per lo spacciatore di droga. Per lui come per l’omicida. Non importa che lui fosse l’uomo più potente di Sicilia. Oggi è solo un numero tra 1.800 numeri-matricola. Oggi è il detenuto Cuffaro Salvatore.
Conta, l’ex governatore di Sicilia. Ma, nel contrappasso dantesco di chi in politica non conta più nulla, lui ora conta soltanto i giorni. Milletrecentosettantanove ne ha passati in carcere. E settecentaquarantasei ancora dovrà passarne qui. Quasi due anni al fine pena: 5 dicembre 2015.
Lei li conta, come il carcerato dell’iconografia letteraria, questi giorni. Li annota su un taccuino?
«Intanto li vivo, che è più difficile. Poi li conto su un grande foglio, in cui ho segnato con un pennarello tutti i giorni di cui è composta la mia pena. E cancello ogni giorno che passa. Ma mi interrogo se considerarlo positivo: è un giorno in meno che passo lontano dalla mia famiglia e dalla mia Sicilia, ma è anche un pezzo della mia vita che se ne va. E allora immagino che il tempo che sto qui sia una sorta di caparra che verso al futuro».
Dice che sta dando questa parte di vita al carcere, parla come se fosse una espiazione. La vede così nel revisionismo della sua vita?
«C’è una sentenza, va rispettata. Questo non significa che la condivido: la rispetto, l’accetto, perché fatta da una istituzione. Ma entrando in carcere si può scegliere. O subirlo pesantemente, ed è un inferno. Oppure affrontarlo, tentando di essere utili a se stessi: non solo espiazione ma anche riflessione e ripensamento sulla mia vita, sulle tante cose che tornando indietro non rifarei. Il modo migliore è aiutare chi è qui dentro, dove c’è talmente miseria e disperazione che essere utili è più facile rispetto a fuori».
Aiutare le persone è un principio della buona politica…
«Non si finisce mai di essere politico. I politici sono tutti quelli che contribuiscono a un progetto di bene comune. Ecco, anche in carcere si può essere politici».
Oggi la classe politica è etichettata come “casta” e la gente usa il voto come protesta.
«La politica ormai si è allontanata dal rapporto diretto con i cittadini. Si vive sui mass media, il politico è distante dai problemi veri e dal rapporto con la gente. E perde la misura del bisogno della gente, che non è solo risposte ma anche rapporto umano. Abbiamo fatto la legge sull’elezione diretta e ci siamo dimenticati di ciò che sta alla base: il rapporto diretto. La politica si è disumanizzata, sta perdendo la passione. La politica oggi mi sembra sterile, fatta dentro ai teleschermi, senza più ideali, bandiere, grandi battaglie di principio».
Ora però c’è la partecipazione diretta, sui social network e su internet, che ha portato Grillo a un’affermazione dirompente e Renzi alla segreteria del Pd. Lei la contesta?
«A me non piace questa politica. E ho qualche dubbio che sia partecipazione diretta dei cittadini. Non dico che l’esperienza dei 5 Stelle sulla rete non sia significativa ma resta senz’anima. Non riesco a immaginare una politica fatta soltanto sulla rete, senza un volto che si faccia guardare e che guardi in faccia le persone. La politica oggi è sempre più condizionata dai giornalisti che hanno il potere di costruire leggende. Belle e buone. Miti e mostri, hanno costruito. La politica è un ibrido ed è sempre più frequente un nuovo soggetto, il Pgm: il politico giornalisticamente modificato. Io credo che Renzi sia questo. Non è né buono né cattivo. Solo più utile a raggiungere l’obiettivo».
Lei è stato distrutto mediaticamente da una foto con un vassoio di cannoli e investito dall’effetto-boomerang del suo soprannome “vasa-vasa”. E la sua politica, il cuffarismo, ha una accezione tutta negativa…
«La vicenda dei cannoli è falsa, come testimoniato dagli stessi giornalisti presenti. Io spostai una guantiera di cannoli e quella foto fu più forte delle precisazioni degli stessi giornalisti che erano lì. Ma quella fu solo la ciliegina sulla torta, suggellò un percorso precostruito che ha condizionato pesantemente la mia vicenda giudiziaria. Il “cuffarismo” era diventato sinonimo del peggio. Invece era il rapporto con la gente, probabilmente con una passione insistente, esagerata: stare ore a parlare con la gente, non disdegnare un abbraccio o un bacio, anzi cercarlo. Non avere paura di stringere una mano, anche a costo di sbagliare».
Dopo di lei c’è stato Raffaele Lombardo e oggi Rosario Crocetta. Come vede la Sicilia di oggi?
«La nostra terra non può essere governata col bastone: quando qualcuno pensa di poterlo fare la gente reagisce. E’ la storia che lo dice. Io credo che la Sicilia per essere ben governata abbia bisogno di un buon padre di famiglia. Bisogna essere severi e io mi prendo le mie responsabilità: non sono stato un padre severo. Ma c’è bisogno anche di affetto, disponibilità e responsabilità, senza bastone. Per governare la Sicilia non si possono mettere le vesti di tiranno…».
Sta parlando di Crocetta?
«Sto parlando in generale. Tutti quelli chesi comportano da tiranno vengono puniti. Quelli che dicono “o si fa così o niente”. Non funziona nei rapporti con gli altri partiti, con l’amministrazione regionale, con la gente, con le imprese. Bisogna capire, rapportarsi con gli altri. Non mi riferisco solo a Crocetta, anche Raffaele Lombardo ha ritenuto di usare dei diktat per imporre le sue condizioni. E non ha funzionato».
Quindi, per lei, Lombardo e Crocetta hanno peccato di tirannia?
«Hanno avuto un atteggiamento non consono rispetto alle aspettative dei siciliani».
Tirannia o senso di onnipotenza?
«Di solito uno che fa diktat lo fa perché ritiene di poterselo permettere e quindi pensa di essere onnipotente. Altra cosa che un buon padre di famiglia non deve mai fare è entrare a casa e dire: “Oggi faremo questo, domani faremo ancora altro”. Questa cosa di fare annunci dura sei mesi, se ti va bene un anno. Perché quello è il tempo che ti dà la gente. Ma quando passa un anno e mezzo e nessuna delle cose che hai annunciato è minimamente portata a compimento, allora la gente capisce».
Vuole dire che il tempo del governatore Crocetta, che è stato eletto meno di un anno e mezzo fa, è scaduto?
«No, non dico questo. Crocetta è stato eletto dai siciliani e deve governare. Ma non deve fare annunci. Deve portare avanti la difficile macchina della Regione col dialogo, senza diktat».
La popolarità mediatica di Crocetta era altissima al momento della sua elezione…
«Ma accanto ai numeri mediatici ce ne sono altri. Io sono stato eletto con un milione e novecentomila voti, Crocetta con meno della metà. E con un altissimo astensionismo: quando la gente non andava a votare io la consideravo una sconfitta peggiore che se votasse per un altro. Crocetta dovrebbe averlo presente ogni giorno. Se fa un fronte su ogni cosa poi è sempre costretto a fare marcia indietro. Pensava di fare la guerra agli Stati Uniti ed è tornato indietro. Ha lanciato la guerra al commissario dello Stato ed è tornato indietro… E mi limito a questi due episodi».
Anche lei lanciò la guerra al commissario, il più duro fu Lombardo con una manifestazione contro il commissario. Oggi la Sicilia è in situazione di impasse per l’impugnativa del commissario dello Stato che ha distrutto la Finanziaria…
«Ogni presidente ha il diritto di difendere le proprie scelte. Ma quando le perplessità del commissario dello Stato riguardano l’80 per cento di quelle scelte, io qualche perplessità a difenderle tutte l’avrei… Io non ho mai fatto guerre al commissario dello Stato, ho solo difeso le prerogative del Parlamento regionale non su bilanci ma su elementi istituzionali. Non farò più politica, però se io fossi al posto di Crocetta proverei a ragionare, a parlare con gli altri partiti, con i dipendenti regionali per motivarli. Io ho sempre tentato di seminare fiducia e speranza. Invece ho l’impressione che oggi in Sicilia si stia spargendo veleno. E questo non fa bene: le imprese non vengono da noi, chi deve firmare un atto ormai ha paura…».
Crocetta le rimprovera il lascito di precari e forestali…
«Crocetta parla senza conoscere la realtà regionale. Perché se la conoscesse saprebbe benissimo che i forestali non glieli ho lasciati io, come non ne ha aggiunti Lombardo. Li abbiamo soltanto riorganizzati. Se Crocetta dice così o non sa le cose o è in malafede. Quindi la smetta di dire cose non vere: se lo dice perché non le conosce lo posso capire ma se lo dice per scaricare le sue responsabilità sugli altri, così come fa su ogni cosa e anche sulla più banale, alla fine i nodi vengono al pettine».
Insomma, lei parla dell’attuale governatore come una figura assolutamente inadeguata…
«Che Crocetta sia inadeguato a fare il presidente della Regione io ne sono convinto. Ma è una mia idea. Io non l’avrei mai votato eppure è stato eletto dai siciliani e deve farlo. Ha voluto la bicicletta? Adesso tenti di pedalare. In avanti e non indietro. Non continui a fare annunci: si sieda e lavori».
È meglio una giunta di tecnici, in cui l’ex segretaria del presidente diventa assessore o un governo basato su un accordo dei partiti e con esponenti di partito?
«Io sono convinto che i tecnici siano una realtà positiva. Ma i tec-ni-ci: la segretaria del presidente non è un tecnico, se le si vuole dare un ruolo di tecnico al massimo può essere un tecnico di… segreteria. Io nella giunta Crocetta di tecnici non ne vedo. Forse Bianchi, Cartabellotta e la Valenti. Ma gli altri – magistrati, questori, segretarie – non lo sono. È un tecnico una studentessa universitaria che fa l’assessore alla Pubblica istruzione? Io i tecnici li avevo: Lagalla, per esempio. I tecnici sono importanti, ma vanno supportati dalla politica: 12 tecnici su 12 diventano un problema».
Però la sanità del governo Cuffaro non brillava né per efficienza né per trasparenza e poi è pure arrivata la stagione delle inchieste.
«Assolutamente sì. Ma se oggi la sanità siciliana sta rientrando dalle difficoltà è per l’accordo che firmammo io e Lagalla con l’allora ministro Turco, non è certo merito né di Russo né della Borsellino. Certo, la sanità è il settore dove girano più soldi e dove c’è maggiormente il rischio che la criminalità organizzata faccia affari. Se c’è una cosa che devo riconoscere a Crocetta è proprio che su questo fronte, l’onestà dell’amministrazione e la lotta alla mafia, ha coraggio e sta andando avanti. Questo è importantissimo ma da solo basta ad amministrare una Regione e a risolvere i problemi della Sicilia? ».
Tornando ai soldi, cioè ai fondi a disposizione, oggi governare non è facile, i bilanci sono magri, sono tempi di spending review e di dipendenti regionali in piazza.
«Oggi i fondi comunitari sono aumentati ma non si sanno spendere. Magari qualcuno contesterà, dicendo che li abbiamo spesi male, ma le abbiamo spesi tutti. Dopo non li ha spesi Lombardo, non li sta spendendo Crocetta. Il merito però io non me lo attribuisco, ma lo do a una grandissima dirigente: la dottoressa Palocci. E se la sono fatta scappare… Lì la responsabilità è del mio amico Raffaele Lombardo».
Amico o ex amico?
«L’amicizia è una cosa che dura per sempre ma io mi sono sentito tradito».
Ultimamente Lombardo è venuto a Rebibbia, le ha mandato messaggi?
«Purtroppo la vicenda con Raffaele è stata una delle mie più grandi delusioni umane e politiche. Mi sono sentito tradito da Lombardo che ha rinunciato alla mia amicizia. Invece a un certo punto ha deciso di troncare il rapporto con me, preoccupato che le mie vicende giudiziarie potessero creargli problemi. Non gli è servito a niente, alla fine… ».
Ecco, appunto. Come vede le vicende giudiziarie di Lombardo?
«Io sono assolutamente convinto che Lombardo sia antitetico alla mafia, sta dalla parte opposta. Se parliamo di rapporti con gli elettori, scambi elettorali è possibile, ma se parliamo di connivenza e di collusione con la mafia, allora io non ci crederò mai».
Uno dei punti di scontro con lui fu la questione termovalorizzatori. Lombardo l’attaccò duramente.
«In Sicilia non si possono smaltire i rifiuti senza i termovalorizzatori. Io li avevo messi nel programma e i siciliani mi hanno eletto. Quel programma fu firmato da tutti gli alleati, compreso Lombardo».
Quando cambiò idea?
«Quando diventò lui presidente della Regione e fu probabilmente condizionato dal cambio delle alleanze. La magistratura accese i riflettori sui termovalorizzatori e lui si preoccupò. Ecco, Lombardo fa parte della definizione di politico costruito. E cavalcò il percorso che la stampa gli costruì»
Ha passato un Natale amaro: addio all’affidamento ai servizi sociali. Ha presentato ricorso?
«Speravo che il mio comportamento avrebbe convinto i giudici a rieducarmi e a risocializzarmi facendomi fare gli ultimi due anni fuori. Rispetto anche questa sentenza anche se la cosa mi ha fatto parecchio male. Il mio avvocato ha proposto ricorso per Cassazione ma questo non potrà avere un risvolto sulla mia carcerazione perché i tempi tecnici non ci sono. Ma se ci fosse una sentenza favorevole potrebbe essere utilizzata da chi in futuro si troverà nella mia situazione».
La motivazione è che lei poteva collaborare e non l’ha fatto. Se l’è posto questo problema?
«Non ho cosa dire: sono tutti condannati, nel mio processo. Cosa avrei potuto aggiungere? ».
Lo ritiene allora un addebito ingiusto?
«È una valutazione che non condivido»
Il 22 gennaio ha compiuto tre anni trascorsi in carcere…
«Era il mio “compleanno” in carcere. Santino, uno dei miei compagni di cella, ha fatto il ciambellone con tre stuzzicadenti sopra perché non abbiamo candele».
Com’è la sua giornata tipo?
«Dormo pochissimo. Alle cinque comincio a scrivere. Aspetto le otto perché si aprano le celle, mi vesto e faccio un’ora di corsa. Ho perso 30 chili. Poi faccio la doccia e vado a studiare, per laurearmi in Giurisprudenza, per essere utile ai detenuti. Per ora faccio i ricorsi per loro, domande di liberazione anticipata, e quando la Cassazione accetta i ricorsi quella è una gioia grandissima: siamo gli smascheratori della giustizia ingiusta …».
Anche in carcere fa ricevimento, allora?
«Qui la metà dei detenuti non può pagare un avvocato, ci sono molti extracomunitari che non conoscono la lingua. Poi scrivo anche lettere d’amore alle loro fidanzate, mi diverte… In carcere faccio l’arbitro, non potendo più fare il giocatore di pallone. L’altro giorno il presidente Zamparini ha mandato le magliette del Palermo per l’incontro guardie-detenuti. Ho dato un rigore alle guardie, prendendomi qualche fischio dai miei compagni che pensavano li volessi aiutare. Ma solo fischi, perché i detenuti non dicono mai cornuto, neanche a un arbitro di calcio. Quando però l’arbitro è uno di loro…».
Ecco, il rapporto con gli agenti com’è?
«Che sia un rapporto conflittuale, cattivo, è un luogo comune da sfatare: vivono con noi, soffrono con noi. Chi non entra in carcere non capisce cosa significa vivere qui dentro. Le carceri non sono storie di corpi ma storie di anime. E se tornassi indietro, alla mia esperienza da senatore, saprei bene che cosa fare per aiutare innanzitutto l’amministrazione del carcere a poter far qualcosa per i detenuti e per gli agenti».
Personalmente la galera l’ha mai umiliata?
«Io mi sono sentito umiliato più volte, in vita mia. Ma mai in carcere. Certo, se mi fossi avvicinato a loro come presidente della Regione, allora forse mi avrebbero umiliato. Sono un detenuto come tutti gli altri».
Lei riceve tante lettere, cosa le scrivono?
«Già, sono tantissime, ieri erano novanta in un giorno solo! Faccio notte leggendole. Mi danno coraggio e forza, arrivano anche dall’America, dall’Australia. Poi ci sono le lettere, misteriose, di una donna che si chiama Antonella: la prima settimana che ero in carcere mi scrisse una cartolina per dirmi “le terrò compagnia tutti i giorni per ognuno dei giorni in cui sarà privato della libertà”. Da allora mi sta scrivendo una cartolina al giorno, da tutte le parti del mondo. La maggior parte sono spedite da Roma e da Pescara ma arrivano anche da Milano, da New York, da Edimburgo».
E cosa le scrive Antonella?
«È una molto colta, perché mi scrive pensieri di grandi scrittori e intellettuali, da Manzoni a Ghandi».
Sua moglie potrebbe esserne quasi gelosa…
«Ha tentato di fare qualche indagine per capire chi potesse essere ma non l’ha ancora scoperto…».
Dopo “Il Candore delle cornacchie”, candidato al Premio Strega, è pronto il suo secondo libro?
«Preso dalla voglia di far conoscere il carcere ho scritto “Le carezze della nenia” che racconta il mio secondo anno e mezzo qui. Il filo conduttore è la canzone che mi cantava mio padre quando ero piccolo e mi metteva nella “naca” fra due alberi. Me la cantava mio padre che non c’è più, l’ho cantata ai miei figli: mi ritorna in mente nei momenti di difficoltà e mi dà speranza e forza di continuare. Il protagonista è un aquilone, fatto di piccoli pezzi colorati, che guarda il carcere dall’alto. L’aquilone è un testimone di libertà, ma dentro il perimetro del carcere. Fuori dalle mura sarebbe un’evasione».
Al polso porta dei braccialetti: se non sono un vezzo, cosa rappresentano?
«In vita mia non ho mai portato braccialetti. Un mio amico, qualche giorno dopo l’inizio della mia detenzione, è andato a Lourdes a pregare per me. E mi ha mandato il primo braccialetto, questo bianco, con la scritta “Nella grotta della madonnina ho pregato per te”. Ogni anno, il 22 gennaio, il mio amico va a Lourdes, prega ancora e mi manda un braccialetto. L’ultimo è questo rosso, il quarto. Mi ricordano che c’è tanta gente che mi vuole bene. Mi ricordano che non sono solo. Io sono fortunato, a differenza di chi sconta l’ergastolo: anche se la mia pena è lunga e difficile, finirà. Sono fortunato perché c’è la mia famiglia, che mi viene a trovare ogni settimana. Ma sono fortunato soprattutto perché sono affidato all’abbraccio di Dio e della Madonna. E almeno questo affidamento non mi può essere negato».
twitter: @m_giuffrida La Sicilia
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