Ma questa terra è davvero irredimibile?
Magari è così, perché siamo «isole dentro l’isola», come sosteneva Gesualdo Bufalino quando coniò l’efficacissimo neologismo isolutidine, come «stemma della nostra solitudine».
Eppure è vero che – Curzio Malaparte dixit – «un popolo sano e libero, se ama la pulizia, i panni sporchi li lava in piazza». E allora via di acqua e di sapone, strofiniamo fino a farci venire i calli alle dita. Giriamo e rigiriamo dentro l’enorme bacinella delle sporcizie del Mezzogiorno e della Sicilia. C’è pure l’agorà – la pittoresca piazza Pardo, cuore della Pescheria di Catania – e i lavandai. Che non sono siculi né terroni.
Anche se Gianantonio Stella e Sergio Rizzo («Ormai siamo una coppia di fatto», dice l’uno; «Ci dovranno fare un Pacs», soggiunge l’altro) rivendicano brandelli di sudismo genetico-antropologico. «Gianantonio è un terrone del Nord, io sono meridionale al cinquanta per cento», scandisce Rizzo. Fors’anche per ragioni di strategia editoriale, visto che il loro Se muore il Sud racconta di storie (scandali, paradossi, malgoverno; manciugghie direbbe il governatore Rosario Crocetta) che ci fanno davvero male.
Un pugno nello stomaco, un modo per metterci nudi davanti a uno specchio. Che non è quello – piagnone, complottista, vittimista e alla fine graziosamente autoassolutorio – usato quasi sempre da noi siciliani. «Un’operazione di impegno civico – la definisce Stella – perché bisognava dare un segnale: il Sud è “il” problema, il principale problema del Paese. E invece non c’è in agenda: né a Roma, men che meno al Nord dove qualcuno si illude che possono ripartire da soli e poi magari tirarsi dietro il Mezzogiorno». Arrivano gli antipasti. «Una bontà», è il coro a due voci. Perché «la vostra enogastronomia è unica, qui la qualità della vita è insuperabile». Eppure Stella è costretto a certificare: «È la prima volta, nella storia recente, che il Sud perde abitanti: l’anno scorso ci sono state più morti che nascite. Era successo soltanto quando ci fu il colera, fra il 1867 e il 1868, e quando ci fu l’epidemia spagnola nel 1918».
Ma Rizzo si riappropria subito della statistica: «Le ultime cinque regioni sulle 271 di tutta Europa per inserimento delle donne nel mondo del lavoro sono tutte del nostro Sud». Le sarde a beccafico («meglio di come le fanno a Palermo») e le polpette di masculini hanno un sapore forte, deciso. Come le polemiche sul libro: «È imbecille – ribatte Rizzo – chi ci accusa di anti meridionalismo, questo è un atto d’amore.
L’ironia nella scrittura, che qualche colonnista con la puzza sotto il naso ha criticato, è un bisogno di alleggerire il peso di certe violenze sulla pelle del Sud. Ci si stropicci gli occhi e ci si chieda se è possibile che la ricchezza media di un siciliano debba essere la metà di quella di un valdostano». Poveri ma belli.
Una coppia di stranieri si strafoga di cozze al tavolo accanto. Uno sguardo fugace, che riporta al famigerato parallelismo con l’economia turistica delle Baleari: «La Sicilia è molto più bella come mare e come patrimonio artistico, ha sei siti Unesco contro due delle isole spagnole. Ma i siti potrebbero essere tanti altri: da Taormina a Selinunte e Segesta, fino alle Saline di Trapani», garantisce Stella. Anche perché poi arrivano le storie di ordinario “tafazzismo”: «È assurdo che Piazza Armerina, con i suoi meravigliosi mosaici, si senta concorrente di Aidone con la Venere. Dovrebbero fare un biglietto unico e mettersi assieme, non farsi la guerra». E Rizzo completa il concetto: «Alle Baleari il 94% delle imprese è in rete, mentre in Sicilia non è dato sapere qual è la percentuale, e già questo è di per sé uno scandalo, ma sarà meno del 17% della media nazionale». Sì, d’accordo. Il racconto di cosa non funziona nella nostra Isola è piccante e piacevole come la doppia razione di peperoncino che Stella distribuisce sui paccheri al ragù di tunnina. Ma come invertire il trend? Da dove ripartiamo? Rizzo affonda, parco, la forchetta sulla caponata. E snocciola: «Dalle infrastrutture materiali: ferrovie, alta velocità, strade e autostrade. Magari gestendo meglio i fondi europei, evitando di spacchettare i finanziamenti in migliaia di microprogetti e puntando su alcune priorità precise».
E poi c’è una questione che è morale prima ancora che economica: «Bisogna liberare la Regione da clientele e sussidi. Ci sono stati anni in cui il Pil pro capite della Sicilia si avvicinava alla media nazionale, ma era un dato drogato dall’economia assistita. E adesso che i rubinetti si sono chiusi o si stanno chiudendo il problema viene fuori in tutta la sua drammaticità».
Rinunciamo al secondo piatto. Ma non alle risposte che cerchiamo. Da dove ripartiamo, cari commensali? «Non certo da isterismi e piagnistei, perché la sindrome del “ce l’hanno tutti con noi” è un alibi», sbotta Rizzo. Che poi elabora una risposta più compiuta: «Dalla scelta della classe dirigente, da una nuovo criterio di meritocrazia. Un esempio: perché non mettere alla prova i vostri meravigliosi laureati come manager delle centinaia di società municipalizzate. Mettiamoli alla prova, apriamo una sana concorrenza fra energie». Perché, aggiunge Rizzo, «non puoi chiedere agli stessi che hanno combinato i guai di risanare la situazione, non puoi chiedere a Raffaele Lombardo di far ripartire la Sicilia». Anche se, sostiene Stella: «Amministrare, dal Comune in su, è comunque difficile. Se si cambiasse tutto da un giorno all’altro sarebbe un problema. Ma c’è bisogno di una fuga in avanti, di uno scatto di coraggio e creatività». Segue dimenticata citazione di Antonio Martino: «Abbiamo fatto l’esperienza dei politici di esperienza e non è stata una bella esperienza». Un inno al nuovismo, un ammiccamento al grillismo? Tesi rispedita al mittente: «Beppe Grillo disse di essere partito da “La Casta”, ma non ci ha chiesto di candidarci né noi ci saremmo candidati. Noi non sposiamo nessuno».
Arrivano i caffè, l’ultimo sorso di catanesità prima del rientro. Stella chiosa: «È un dovere denunciare, ma anche dare una scossa». E Rizzo: «Possiamo farcela se il Sud ce la fa e se tutto il Paese aiuta, in modo diverso, il Sud a farcela da solo, senza acquazzoni di denaro pubblico», dice Stella. Il conto, grazie.
twitter: @MarioBarresi – La sicilia
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