Il caso adesso all’esame dell’Ars: l’obiettivo è quello di trovare la copertura finanziaria.
Avere la soluzione in mano, ignorarla e perdersi in sprechi e polemiche. E’ un classico alla Regione, che da 14 anni non assume 97 restauratori di beni culturali vincitori di concorso.
Nel frattempo spende molto di più per affidare pochi restauri a macchia di leopardo a imprese che poi spesso si avvalgono di questi stessi professionisti vincitori del concorso del 2000. E adesso la politica si indigna – con grande enfasi, sorpresa e scandalo – per la massa di beni culturali abbandonati nei depositi dei musei siciliani, per la chiusura domenicale dei siti e per la «poca flessibilità del personale» che non permetterebbe di organizzare le aperture secondo le esigenze dei visitatori.
Una delle cause viene indicata da politici e governanti nella carenza di risorse finanziarie per il restauro dell’immenso patrimonio custodito, calcolato dall’Unione europea, insieme alla Calabria, nel 10% dell’intera dotazione museale mondiale. Sarà.
Nel triennio 2010-2012 la Regione ha speso 3 milioni di euro l’anno per restaurare singoli reperti archeologici o opere d’arte, e adesso per restauri di «pezzi» del museo archeologico Salinas di Palermo è in corso una gara da 700 mila euro. Pochi sanno, però, che la Regione paga questi soldi ad aziende private specializzate che, spesso, si rivolgono proprio a quei restauratori vincitori di un concorso indetto dalla stessa Regione e che l’amministrazione dopo 14 anni non ha ancora assunto.
Il paradosso è che per pagare da dipendenti questi 97 esperti e professionisti di altissimo livello, si stima che la Regione spenderebbe la stessa cifra, poco più di 3 milioni l’anno, ma avrebbe il vantaggio di potere effettuare restauri in maniera diretta e continuativa, senza altri costi, per tutto l’anno. Il volume di attività sarebbe almeno dieci volte maggiore.
Per ironia della sorte, questi professionisti, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza del loro lavoro, lo scorso 16 giugno hanno organizzato in alcuni musei dell’Isola la possibilità di effettuare visite ammirando i restauri di opere in corso.
L’assessorato regionale ai Beni culturali, sia pure in extremis, ha autorizzato l’iniziativa «tendente – è scritto nella nota firmata dal dirigente generale Sergio Gelardi – a sensibilizzare l’opinione pubblica in ordine alla figura del restauratore e alla valenza del restauro nonchè alle irrisolte problematiche relative all’espletamento del concorso a 97 posti per assistente tecnico restauratore, bandito nel 2000».
Del caso tenta adesso di occuparsi l’Ars, in occasione del dibattito sulla legge di stabilità, con emendamenti che riprendono il contenuto di varie interrogazioni e di tre disegni di legge presentati da Gino Ioppolo, Marcello Greco e Pippo Gianni. L’obiettivo è quello di trovare la copertura finanziaria, perchè la graduatoria del concorso, dopo vari ricorsi, è divenuta definitiva nel 2011, ma ha validità fino al prossimo mese di agosto. Poi andrebbero in fumo 14 anni di battaglie, raccolte di firme, appelli di intellettuali, promesse politiche. Ai comuni mortali oggi basterebbe spostare i soldi dal capitolo dei restauri a quello dei restauratori. Ma in Sicilia ci vuole una legge. Che renda esecutiva una graduatoria definitiva per la quale i soldi non ci sono mai stati, da 14 anni.
«Il nostro concorso rischia di finire nel guinness dei primati – dice Andrea Patti, portavoce del gruppo -. In Italia fra i 70mila vincitori di concorso non assunti siamo il caso peggiore. Persino il ministro della Pubblica amministrazione, Gianpiero D’Alia, si è dichiarato disponibile ad esaminare il nostro caso. All’Ars, come firmatari di disegni di legge, vi sono esponenti di quasi tutto l’arco parlamentare (tranne il Megafono ci sono tutti). Sono concordi nel ritenere il nostro caso un’ingiustizia e quindi si impegnano a risolverlo al più presto.
A parole (c’è anche il Megafono) non vi è praticamente nessuno che non sia d’accordo e ho avuto modo di parlare con almeno metà dei deputati. Eppure siamo ancora qui! ».
michele guccione lasicilia
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I restauratori, come ditte individuali o che hanno fatto impresa, sono comunque costretti a sospendere qualunque iscrizione ad artigianato od altro non potendo sostenere le spese di tassazioni professionali. Non possiamo più permetterci neanche un piccolo scantinato per le nostre attrezzature specialistiche e non possiamo permetterci corsi di aggiornamento fuori dalla nostra sede.
Insomma non possiamo più essere ciò per cui abbiamo tanto studiato, per cui ci siamo impegnati professionalmente.
I politici trovano “il tempo” solo se hanno un “ritorno”, una sorta di “do ut des”, in caso contrario ci danno ragione e tutto finisce li.
Una ex Impresa di Restauro.