C’è una forte inesorabile divaricazione tra mandante e mandatario. Una condizione imperfetta, anomala, patologica. Irrimandabili i rimedi, particolarmente in Italia, dove ha carattere ormai endemico e non incidentale. Ma l’urgenza si scontra con la consapevolezza che le misure di recupero richiedono tempi lunghi.
Cui prodest?
Alle nuove, e soprattutto prossime generazioni. Ovviamente, è necessario conciliare tempi lunghi e tempi brevi, e anche immediati. È naturale che ognuno usi l’arco di tempo della propria vita come parametro, è legittimo che il politico, caricato o no di responsabilità istituzionali, pensi alla propria carriera. Ma è patologico, antietico e immorale, fare dei propri impegni da mandatario un pensiero secondario.
Anche il mandante, l’elettore, vive questo senso di finitudine, non fosse altro che per le sue urgenze quotidiane che magari gli tolgono ogni energia. Ma egli al fondo, atavicamente abituato al sacrificio differentemente dal mandatario al quale peraltro aveva affidato le proprie speranze, vorrebbe che i suoi sforzi e le sue pazienze fossero ripagati.
Comunque sia: ma ripagati. Con la conseguenza che, qualora le azioni a tempo breve fossero claudicanti (non assenti, per carità), a causa di un credibile progetto socio-etico-economico mirato alla stabilizzazione generale, accetterebbero questo sacrificio. Ma se spremuti e basta senza risultati in nessuna lunghezza d’onda, sono due le minacce incombenti, perdurando tale condizione: o si riversa nelle strade con azioni forti, o accetterà di buon grado il tipo o i tipi che faranno un’azione di regime forte. Una divaricazione mandante-mandatario che appare insanabile. Dal proprio pulpito, ogni mandatario grida la sua mercanzia (spesso solo strategica) attaccando ogni altro che non stia con lui.
E così passano i giorni e le notti e i media si riempiono di litigi, e niente arrosto. E il povero tassato (o vessato) o mandatario canta, con aria sconfitta, appresso ad Apollinaire: “Viene la notte, suona la campana, i giorni vanno e io resto” (vilipeso?). Siamo sui banchi di scuola, in condizione invertita: gli insegnanti sono i mandanti (i molti; gli antichi greci direbbero: popolo; democrazia); gli scolari sono i mandatari (i pochi; gli antichi greci direbbero: oligarchia). E’ compito dello scolaro imparare e capire cosa fare da grande, col passaggio dal banco alla società.
Gli oligarchici scolari sono sempre in fase formativa e stabiliscono gare per strappare il ruolo di primo della classe. In quanto oligarchici non hanno paura degli insegnanti o mandanti, i quali sono esautorati. In questo quadro, lo “stato” siciliano non si dia l’alibi di sentirsi fanalino di coda che subisce. Sfrutti la propria autonomia, senza paura per l’eventuale rischio di fornire in anticipo un esempio etico all’intera nazione.
Che se così fosse il rapporto mandante-mandatario finalmente cambierebbe di segno, a significare una vera svolta. Sermbrerebbero appunti di carattere eminentemente etico. E lo sono. Ma senza questo percorso, una vera crescita non ci sarà mai.
Carmelo Strano
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