Ogni qualvolta entra in discussione un tema riguardante la giustizia, immancabilmente, negli ultimi venti anni, la prima cosa che in tanti si domandano è se la proposta di una nuova normativa sia diretta a giovare o a danneggiare il Cavaliere.
Ciò, ugualmente, è di recente avvenuto, allorché il presidente della Repubblica, preoccupato e allarmato per la situazione umanamente invivibile di molti luoghi di detenzione, ha inviato un messaggio alle Camere per sollecitarle ad esaminare (positivamente, è ovvio) la possibilità di una provvedimento di indulto e amnistia che consentisse il ripristino della libertà per alcune migliaia di carcerati.
Anche se non pochi “malpensanti” hanno travisato l’intento di Napolitano ritenendolo subdolamente surrettizio per offrire una via d’uscita all’ex premier («honny soit qui mal y panse», sarebbe da scrivere come nello stemma dell’Ordine della Giarrettiera fondato nel 1349 da re Edoardo III), chi conosce l’onestà intellettuale del capo dello Stato riesce con assoluta facilità a fugare ogni sospetto di un suo retropensiero. Non è così, ovviamente, per i seguaci “pentastellati” di Grillo, i quali (“maledetti” direbbe il re inglese) non possono fare a meno di contestare, non civilmente – ma con inauditi oltraggi e volgarità da angiporto – chi la pensa in maniera diversa.
Ciò non toglie che molti rimangano oggettivamente preoccupati per il fatto che parecchie migliaia di condannati, sia pure per reati non gravissimi, solitamente plurirecidivi (altrimenti avrebbero beneficiato della sospensione condizionale della pena) si reinseriscano – ancor più incalliti – nel circuito criminale, attesa la penuria di posti di lavoro che penalizza anche persone incensurate moralmente più affidabili. Donde l’assoluta probabilità (l’esperienza ventennale è testimone imparziale) che nel torno di pochi mesi tutto ritorni come prima lasciando irrisolto il problema.
A dirla breve, quale una fatica inutilmente dispendiosa, come quella mitica di Sisifo, re di Corinto, descritto da Dante come condannato – per la legge del contrappasso – a trascinare in alto un grosso masso che immancabilmente dalla cima tornava a precipitare a valle.
A dirla con franchezza, anche chi scrive nutre, se non sul piano formale, seri dubbi sulla opportunità del messaggio (atto raro e solenne) inviato alle Camere sull’argomento dal capo dello Stato. Tanto più che egli non poteva non sapere che il M5S, oltre che alla Lega Nord e a molte frange della destra estrema, era strenuamente contrario a eventuali provvedimenti di clemenza, tant’è che tutti questi si erano poco o punto commossi ai digiuni di Pannella, pronto a sospenderli al momento opportuno, cedendo (di malavoglia?) alle rituali sollecitazioni provenienti da più parti puntualmente.
Non va, peraltro, negletta la circostanza che i grillini non costituiscono una fascia marginale del Parlamento (quasi un terzo) e, perciò, per quanto irrequieti e imprevedibili, la loro opinione non può essere sottovalutata, se non sul piano della autorevolezza politica, certamente per la cifra della consistenza numerica.
Naturalmente non può non tenersi conto del fatto che l’Unione europea ha più volte diffidato il nostro Paese a portare le carceri ad un livello di decoro che rimanga nei limiti della vivibilità. Vivibilità che attualmente non si riscontra, non tanto per via dei regolamenti penitenziari, che sono sufficientemente alla pari con gli omologhi di altri Paesi (fatta eccezione per il regime restrittivo del 41 bis, riservato in Italia a pericolosissimi criminali), quanto per il sovraffollamento che costringe i detenuti a una asfittica convivenza.
Orbene, se la sanzione dalla Ue irrogabile nei nostri confronti ammonta – così si dice – a quaranta milioni di euro, è davvero incomprensibile come questa cifra non venga stanziata per aprire i penitenziari lasciati inutilizzati o per adattare allo scopo le molte caserme ormai deserte o altre strutture pubbliche o private (se ne vedono molte) in stato di abbandono. E’ come se, in mancanza di aule sufficienti, si decidesse di mettere fuori dalla scuola quelli in soprannumero, comunque elargendo a costoro la promozione pur senza merito. Se il messaggio presidenziale fosse stato di questo tenore – e cioè aumento della ricettività dei reclusori – di certo non vi sarebbero state tante voci di dissenso.
Peraltro appare assolutamente irragionevole che centinaia di migliaia di processi cadano nel nulla pur quando sia stata pronunziata una sentenza di condanna ancorché non definitiva. Quanto meno l’amnistia (e così la prescrizione) dovrebbe applicarsi solo ai procedimenti cosiddetti “bagatellari” non ancora pervenuti alla fase del giudizio per non disperdere il lavoro di magistrati e poliziotti profuso in altri procedimenti di una certa complessità ed importanza.
Quanto all’invito (ascoltato in televisione) di un alto esponente della Lega ai magistrati («Fateli lavorare di più! »), questo invito potrebbe ben essere respinto al parlamentare mittente. Dal dossier 2012 della Commissione europea per l’efficacia della Giustizia (Cepej, che ha sede a Parigi) risulta che per produttività i magistrati italiani sono al primo posto nella materia civile ed al secondo nella materia penale: la verità è – semmai – che in alcuni di loro (sempre gli stessi) alberga un’esagerata indisponente voglia di protagonismo, che nuoce al buon nome di tutti gli altri colleghi. I quali in genere lavorano con serietà e riservatezza, mantenendosi lontani dalle (tanto ambite) ribalte mediatiche, spesso catechesi per l’ingresso in politica.
Semmai si dovrebbero mettere i giudici in condizione di lavorare meglio con normative processuali più agili, magari copiandole da altri ordinamenti europei. In tema di giustizia è quello che il “governo delle larghe intese” – o delle “lunghe attese”? – dovrebbe fare, ma che certamente nessuno ha interesse a fargli fare.
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