Don Stefano Nastasi, dopo 6 anni a Lampedusa, torna sulla terraferma.
Le parole che ripete più spesso sono «compassione e indignazione»: dice di averne imparato il vero significato a Lampedusa padre Stefano Nastasi, 42 anni, da sei sull’isola. L’altro ieri è stato il suo ultimo giorno da parroco in questo avamposto d’Italia che ha accolto migliaia di migranti. Ieri ha lasciato la sua comunità per andare a Sciacca.
«Ho avuto molto da questa terra – dice -: ho imparato a soffrire con chi soffre, ma anche ad arrabbiarmi perché un carico così grosso non può essere lasciato tutto ai lampedusani. Negli anni ho visto ministri e politici venire qui, parlare, promettere, ma di fatti, purtroppo ne ho visti pochi. E dopo il fragore che segue ai drammi, ai morti in mare, in genere c’è il silenzio».
Don Stefano, che domenica sera ha celebrato la sua ultima messa qui, è originario del Belice e dalla sua gente, provata dal terremoto, ha imparato a reagire e lottare. «Una lezione che anche i lampedusani conoscono bene», afferma. «È un popolo – spiega – che ha dato tanto in termini materiali, ma anche umani e approfittare di tanta generosità non è giusto».
«Sull’isola – racconta – si vive il Vangelo tutti i giorni, si vive quello che è scritto sulla croce che porto al petto in cui è riportata la frase di Matteo: “Quello che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me”. Ecco, qui – aggiunge – sanno bene cosa significano queste parole».
Delle migliaia di migranti che ha incontrato ricorda gli occhi pieni di dolore e paura. «Spesso – ricorda – ci ha diviso la lingua, spesso non ci siamo capiti con le parole, ma con gli sguardi». Delle tante storie sentite, una in particolare gli è rimasta nel cuore: quella di un’eritrea che sabato ha voluto incontrarlo.
«Ci siamo abbracciati – racconta -. Era qui per dare l’ultimo saluto a un parente morto nel naufragio del 3 ottobre. Mi ha detto: “Non mi riconosci? “. Poi mi ha spiegato che c’eravamo visti proprio qui a Lampedusa 8 mesi fa, quando, assieme ad alcuni familiari, era stata salvata mentre attraversava il Canale di Sicilia su un barcone. Si è trasferita a Bari e ha imparato un po’ di italiano. Lei ce l’ha fatta. Il suo congiunto no».
Don Stefano ha celebrato i funerali di decine di disperati morti in mare. «Esequie spesso senza un parente – ricorda – perché le vittime non avevano neppure un nome».
«Purtroppo non posso essere ottimista sul futuro – si rammarica – temo che ci saranno altri morti se le cose non cambiano».
Dell’isola che tanto gli ha insegnato porterà con sé l’immagine del mare: «Un mare – conclude – che sa tornare calmo e trasparente nonostante venga scosso dalla tempesta. Proprio come si vive su questa terra».
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