Corretta nutrizione e stile di vita dinamico le basi per contrastare i chili di troppo.
Sono circa sei milioni gli italiani obesi. Un dato allarmante, in costante crescita, dichiarato in occasione di un recente congresso della Sicob (Società taliana di chirurgia dell’obesità e malattie metaboliche).
I chili di troppo compromettono seriamente salute e qualità di vita, e incidono, di conseguenza, sulle risorse economiche del Servizio Sanitario Nazionale. Quando le modifiche degli stili di vita (dieta, attività fisica, ecc.) non riescono da sole a risolvere il problema, una soluzione potrebbe provenire dalla chirurgia bariatrica, quella branca della chirurgia il cui scopo è ottenere significativi cali ponderali.
Per prevenire l’obesità, l’arma più efficace resta, infatti, una corretta educazione alimentare, associata a uno stile di vita dinamico, in cui sia favorita l’attività fisica sin dai primi anni di scuola.
Tuttavia, non sempre la combinazione di adeguate regole alimentari e movimento può risultare sufficiente per contrastare i casi di obesità di grado importante, dai 35 BMI (Body Mass Index, Indice di massa corporea) in su: quando questi approcci risultano fallimentari, l’unica possibile soluzione è costituita dalla chirurgia, chenegli ultimi decenni, grazie all’introduzione delle procedure laparoscopiche, è diventata più sicura e meno invasiva.
“La chirurgia bariatrica mira a correggere o a guarire l’obesità patologica”, dichiara il dott. Luigi Piazza, dell’ospedale Garibaldi di Catania. “Negli ultimi anni – spiega – si parla di chirurgia del metabolismo, poiché si è visto che queste procedure sono in grado di poter curare gran parte dei malati affetti di diabete mellito di tipo due. In generale, le tecniche chirurgiche mininvasive dovrebbero essere utilizzate per effettuare tutti gli interventi, considerato il grande impatto che hanno in questo ambito sulla riduzione delle complicanze e del dolore postoperatorio. Tuttavia, nonostante l’alto numero di pazienti che potrebbero giovarsi dell’intervento, sono solo circa 10.000 i pazienti che nel nostro Paese ogni anno affrontano questo percorso. Un gap notevole, le cui motivazioni sono da attribuire a molteplici fattori”.
“Esiste in Italia – continua il dott. Piazza – un problema di non accessibilità ai trattamenti di chirurgia bariatrica, che non può essere considerato un settore analogo alle chirurgie tradizionali. C’è bisogno, infatti, di un percorso formativo molto lungo, di caratteristiche particolari della sala operatoria, e di degenza, oltre che di personale particolarmente addestrato, che possiedono solo pochi centri d’eccellenza in Italia, identificati dalla Società Italiana di Chirurgia dell’obesità e metabolica”.
“Nel centro da me diretto – aggiunge – operiamo in media 150-160 pazienti l’anno, anche se le liste d’attesa sono di due anni. Purtroppo, non possiamo sforare questi numeri per esigenze organizzative ed economiche, anche se con una maggiore disponibilità di risorse potremmo raddoppiare il volume degli interventi”.
L’impatto globale del problema è molto forte: gli obesi, infatti, spesso presentano un quadro clinico complicato dal diabete e dall’ipertensione, patologie associate che incidono gravemente sulla vita privata e sul lavoro. Per costoro, l’intervento permette di affrancarsi da terapie croniche, anche gravose da un punto di vista economico (se consideriamo i pazienti giovani a cui viene diagnosticato un diabete prima dei 50 anni), come l’insulina o i farmaci per l’ipertensione e per l’ipercolesterolemia.
L’utilizzo delle tecniche di chirurgia mini-invasiva, inoltre, permette un recupero e reinserimento lavorativo più rapidi.
“Con le tecniche laparoscopiche di oggi – conclude il dott. Piazza – il paziente rimane in ospedale per 2-3 giorni e può riprendere il lavoro entro la prima settimana dall’intervento chirurgico. Si ha il raggiungimento della perdita di quasi l’80% del peso nell’arco di 6-8 mesi dall’intervento. Il paziente si riappropria dei gesti quotidiani di una vita normale, che l’obesità gli aveva pregiudicato, come andare al lavoro in macchina, andare in aereo, prendere un treno.
Ma, tornando alla prevenzione, è bello pensare che qualche rotolino in più sulla circonferenza vita faccia parte del normale processo di crescita dei bambini. Gli esperti però mettono in guardia dal grasso addominale: mamme e papà non devono sottovalutare la “pancetta” dei loro bambini, un “forte indicatore di sovrappeso, o meglio di pre-obesità” anche tra i più piccoli, sottolineano gli esperti. In Italia 2 bimbi su 10 (22,1%) sono pre-obesi, mentre 1 su 10 (10,2%) è obeso. Dagli endocrinologi arriva dunque un suggerimento alle famiglie: per capire se la salute dei vostri bimbi è a rischio, cominciate a misurargli il girovita.
È stato appurato che il grasso addominale è un indicatore di rischio anche nella popolazione pediatrica.
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