Sampieri. Tragico sbarco sulla spiaggia ragusana: 13 immigrati annegano, altri due (di cui uno investito per strada) in fin di vita.
Non sanno niente di mare e previsioni meteo, non sono nuotatori né cattivi o forti abbastanza da reagire ai negrieri che gli negano acqua e cibo durante la traversata e che li lanciano in acqua a forza, anche con calci e pugni, in prossimità della costa.
Sono carne da macello, un tot al chilo prendere o lasciare: troppo spesso per morire. E’ un’emergenza infinita che lascia indifferente l’intera comunità internazionale, quella stessa così attenta a dettare la politica economica del nostro Paese pena chissà quale terrificante “procedura d’infrazione”.
E chissà dove sono finiti i buoni propositi, gli accordi e il denaro da tutti noi versato, negli anni e sotto vari governi, per porre fine a questa strage a orologeria che non importa né commuove più nessuno.
A noi siciliani invece importa eccome. Lampedusa è il checkpoint charlie del nuovo millennio, Siracusa e Pozzallo le nuove Staten Island: centri di raccolta d’indifferenziata umanità.
E le nostre forze dell’ordine, i marinai, i protettori civili e i presidi sanitari continuano a svuotare un oceano col cucchiaino convinti che prima o poi ce la faranno. Per questo siamo siciliani, capaci ancora di commuoverci ma soprattutto muoverci ogni volta che è il cuore a dare l’ordine.
Ma siamo siciliani, appunto, usi a obbedir tacendo anche se l’ordine – da Roma o da Bruxelles – continua a tollerare disordine e tragedie. Forse perché tanto ormai succedono solamente in Sicilia.
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