Congresso Pd, il dibattito è un antidoto al partito del padrone.
Molti manifestano sorpresa o addirittura sconcerto di fronte alla durezza del confronto che si sta svolgendo nel Pd in vista del Congresso. Si rileva che un clima così rissoso non si addice ad un partito che ha la responsabilità della guida del governo, in un momento in cui gli italiani si dibattono tra mille difficoltà, e che all’origine di contrapposizioni così forti vi sarebbe il ritorno ad un correntismo esasperato, incompatibile con una democrazia matura nella quale la lotta per la leadership non dovrebbe mai mettere a rischio la governabilità del Paese.
Ci pare che questo tipo di insofferenza verso ogni forma di dialettica tra le correnti di un partito – correnti che in verità dentro il partito democratico ancora non sono emerse – nasca da un pregiudizio duro a morire, quello secondo cui le correnti prima o poi finiscono con il diventare veri e propri clan che danno vita ad apparati molto chiusi. Il che non è vero, perché un vivace dibattito interno, se riguarda gli orientamenti politici e si sviluppa tra attori credibili, non disincentiva ma stimola la partecipazione.
In questo ventennio di bipolarismo mal riuscito la competizione tra i partiti ha fatto emergere un preoccupante vuoto politico. L’occupazione del potere da parte di essi è però cresciuta. Abbiamo visto all’opera partiti che, anche grazie ai privilegi conferiti dalle leggi elettorali, hanno operato come vere e proprie aziende di proprietà del leader o di pochissimi dirigenti. Costoro decidevano gli assetti di vertice del partito, “nominavano” i parlamentari, sceglievano i membri del governo senza che vi fosse una discussione pubblica sui criteri in base ai quali si operavano queste scelte che militanti ed elettori dovevano subire impotenti.
Oggi siamo di fronte alla fine di un ciclo politico e forse anche istituzionale. I partiti sono chiamati ad affrontare non soltanto le riforme economiche, ma anche quelle istituzionali. In questo contesto la natura e la forma organizzativa dei partiti, il controllo che potranno esercitare su di essi i militanti e gli elettori che li votano non costituiscono questioni marginali. È, quindi, del tutto comprensibile che affiorino smanie di protagonismo, di visibilità, nel tentativo di stabilire un rapporto il più possibile diretto con gli elettori, e non solo con gli iscritti, non più chiamati solo a ratificare ciò che si decide al vertice del partito.
Considerato che il Pd è l’unico partito che fa un vero Congresso, che nulla si può dare per scontato con riferimento ad eventuali maggioranze e allo stesso destino del governo, è un fatto positivo che la discussione che precede il Congresso sia una discussione intensa, partecipata, trasparente, che faccia chiarezza sulle intenzioni di chi si candida a dirigere il partito. E se da questo travaglio dovessero nascere delle correnti stabilmente organizzate sulla base di visioni diverse in ordine al ruolo che il Pd deve svolgere nella società e nelle istituzioni, ciò non pregiudicherà le chance di successo del partito. L’importante è che tutto avvenga nel rispetto del metodo democratico. Le correnti sono di gran lunga preferibili alle bande, alla stucchevole divisione tra falchi e colombe, tra governativi ed antigovernativi, tutta incentrata sul tema del futuro di Berlusconi.
Una corrente organizzata ha un senso se propone una linea politica, se ha una precisa visione della identità che il partito deve darsi e su questa base si confronta con posizioni diverse, sentendosi comunque impegnata a sostenere le decisioni che poi vengono ufficialmente assunte.
Si tratta di una forma di organizzazione di partito senz’altro preferibile a quella del partito strutturato per tifoserie schierate a difesa di un leader o di un gruppo di pressione.
E’ bene che, dopo la lunghissima stagione dei partiti a conduzione padronale in cui ha contato la volontà di un uomo solo, forte del consenso che raccoglie intorno alla sua persona ritenuta insostituibile, si torni alle direzioni collegiali, ai dirigenti periferici eletti e non nominati da Roma, ai congressi veri.
In questo senso un Pd che dà vita ad un Congresso molto combattuto può coinvolgere i propri militanti ed elettori -se sono chiare le ragioni dei distinguo – meglio di quanto, per esempio, non possa fare un partito come quello di Forza Italia bis che nasce, attraverso una decisione solitaria del leader, con il taglio del nastro in occasione della inaugurazione di nuovi locali.
Nei partiti della Prima Repubblica si registravano scontri anche durissimi tra le correnti quando si trattava di compiere importanti svolte politiche, quale quella che decretò la fine del centrismo e la nascita del centro-sinistra, o quella che portò al varo di un governo con i comunisti nella maggioranza. Il dibattito dentro i partiti fu lungo, faticoso, e diede vita a Congressi il cui esito avrebbe cambiato il corso della vita politica italiana. Si ebbero anche scissioni. Si trattava di conflitti interni che non hanno, però, sfasciato i partiti storici della Repubblica, ma ne hanno anzi esaltato la centralità all’interno del sistema istituzionale
Se l’Italia del dopo Berlusconi sarà un Paese con partiti veri, “liberalizzati”, se insomma il modello del partito padronale, del partito personale finalmente tramonterà, la politica avrà tutto da guadagnare. E il Congresso del Pd da questo punto di vista potrebbe rappresentare una occasione importante per ridare prestigio ad un mondo dei partiti che avversa i cambiamenti e che sembra avere dei sussulti solo a seguito delle inchieste giudiziarie, delle manciate di fango che vengono gettate sulla politica da una informazione partigiana, o delle battute ad effetto di questo o quel leader all’interno di una dialettica che si caratterizza per la sua vacuità.
Un vero Congresso celebrato dai democratici potrebbe rappresentare l’occasione per un ritorno ad una vita di partito autenticamente vissuta, e se esso poi dovesse risultare un buon precedente destinato a contagiare anche gli altri partiti forse potremmo avere, una volta liberato il campo dalle macerie della seconda Repubblica, un sistema di partiti vitale, in grado di accogliere quanti vogliono partecipare alla vita politica e di valorizzare i meriti anziché le fedeltà cieche ed interessate.
E’ questo il partito dei cittadini di cui l’Italia ha bisogno in entrambi gli schieramenti, un partito che non può essere posseduto né da un padrone, né da un apparato burocratico onnipotente ed immobile.
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