Una vera e propria battaglia in punto di diritto quella tra il presidente della Regione, Crocetta, e il ministro della Funzione pubblica, D’Alia.
E se Crocetta, con una nota piuttosto dura, si è scagliato «contro le banalizzazioni», arrivate sia da settori della maggioranza sia dell’opposizione, dopo l’impugnativa del Commissario dello Stato di tre commi del disegno di legge sull’ineleggibilità di deputati regionali, dirigenti e consulenti di enti o società che hanno rapporti finanziari con la Regione, salvando comunque le norme che riguardano il settore della formazione professionale e non solo, D’Alia, da parte sua, lo ha esortato, con un’altrettanta puntigliosa nota, ad applicare in Sicilia la legge nazionale contro la corruzione: il decreto legislativo n. 39/2013.
«Non capisco – ha dichiarato Crocetta – il clamore che si sta sollevando sulla legge siciliana in materia d’ineleggibilità-incompatibilità recentemente approvata. Il Commissario dello Stato ha richiesto di omettere le parole “socio”, “funzionario”, “dipendente”. Ma laddove il funzionario è dipendente di società partecipate dalla Regione e operanti in “house”, non si comprende il motivo di tale disparità rispetto al funzionario della Regione. Ci sembra eccessiva la “benevolenza” nei confronti del socio, essendo egli detentore reale e vero del potere economico del patrimonio dell’azienda e, quindi, in grado di esercitare un’influenza dominante».
Il presidente della Regione, poi, ha aggiunto: «Non riesco a capire l’invocazione continua che parte della politica siciliana fa sull’applicazione del dl 39/2013. Questo decreto è già applicato anche in Sicilia e, comunque, non mi pare che in Italia abbia risolto la questione del conflitto d’interessi. La legge siciliana in questo campo vuole fare di più rispetto al resto del Paese, anche perché il legislatore ha affidato alla Regione la facoltà d’introdurre norme e criteri più rigorose. Banalizzare, pertanto, il risultato raggiunto è veramente miope, perché mostra disinteresse all’introduzione di norme più stringenti che regolino la vita delle istituzioni. E’ sufficiente leggere alcuni degli articoli approvati per comprendere la portata dei cambiamenti».
Per il ministro D’Alia, però, «la legislazione anti-corruzione nazionale deve essere immediatamente ed efficacememte applicata, senza ritardi, senza deroghe e senza scuse. Non si può più oggi nelle Regioni, e negli altri enti locali, fare finta che le norme nazionali di contrasto alla corruzione non esistano o non siano applicabili agli enti locali, i quali non possono essere o diventare un porto franco dell’illegalità o della corruzione. Neppure si può pensare, o addirittura affermare, come pure è successo, che la richiesta di applicazione immediata di queste norme nazionali sia una mortificazione dell’autonomia locale: si tratta di una motivazione incoerente e strumentale».
Replicando a Crocetta sull’efficacia della normativa nazionale, D’Alia ha sottolineato che le nuove diposizioni «hanno previsto un sistema di prevenzione e repressione del fenomeno della corruzione innovativo e di ampio respiro, che comprende norme organizzative, di trasparenza e di contrasto penale al fenomeno. Anche la Regione Siciliana dovrà uniformarsi. Se non lo facesse, priverebbe i propri cittadini di un efficace controllo e impedirebbe l’applicazione delle sanzioni previste per chi viola le norme».
Per inciso, D’Alia e il suo partito, l’Udc, sono alleati di Crocetta.
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