Sul palcoscenico della politica questo agosto è il prologo al settembre che verrà. I personaggi sembrano recitare a soggetto, secondo un copione di giornata. Del quale non sai il finale.
Due i protagonisti: Silvio Berlusconi, il Cavaliere nero che nel bene e nel male da vent’anni detta i tempi della politica; e Giorgio Napolitano, il deus ex machina, da tragedia greca. Un Giove, però, per nulla vendicativo, anzi in cerca di pace. O, almeno, questa è la speranza. Un ruolo difficile in un mondo, quello politico, più vicino agli inferi che al paradiso. E’ come quando, durante la Messa, l’officiante invita i presenti a scambiarsi un segno di pace.
Il gesto lo compiono tutti, però, fuori dalla Chiesa, quanti si ricordano della sacra promessa?
Il resto dei personaggi è composto di comprimari. Attendono che qualcosa accada. Da Enrico Letta, il temporeggiatore, a Mario Renzi, il rottamatore; da Angelino Alfano, il mediatore, a Daniela Santanchè, la pitonessa. E tanti altri attori al seguito. Cercano di lasciare il cerino acceso in mano all’altro, evitando così di bruciarsi. Il cerino in questo caso è la crisi di governo. Quelli del Pd e del Pdl ci pensano ma non lo dicono. Pronti, così, ad accusarsi a vicenda se Enrico Letta dovesse cadere. La politica ha le sue regole di ipocrisia. Naturalmente, dimenticavamo, c’è il comico di scena, Beppe Grillo. Un personaggio utile allo spettacolo. Serve a rompere la monotonia di un testo teatrale drammatico.
Veniamo ai temi che la rappresentazione pone. Di solito la critica teatrale li chiama messaggi. Il prologo di agosto lo conosciamo. Ed è la condanna definitiva di Silvio Berlusconi. I giornali da bravi corifei, si sono esercitati nelle previsioni, chi a favore chi contro.
Il Cavaliere finirà in galera (cioè ai domiciliari) o ai servizi sociali? O, ancora, chiederà la grazia e otterrà quella «agibilità politica» che vuole a tutti i costi per continuare a sostenere il governo? Il centrodestra perderà il suo leader o arriverà un sostituto, che sembra non appartenere alla famiglia? Il Pd cercherà di mettere una pietra tombale sul destino del Cavaliere, atteso, com’è, da altri processi?
I democratici sono pronti a indicare pollice verso, però temono, eliminando l’avversario storico, di rafforzarne un altro, Beppe Grillo. Hanno paura, soprattutto, di essere impreparati, divisi come sono, ad affrontare nuove elezioni.
Ma Grillo è un avversario da temere? La sua coerenza è di giornata. Sparacchia oggi su Napolitano, quando invece, qualche mese fa, dopo essere salito al Quirinale, lo dipinse come un uomo saggio. Voleva prima come presidente Stefano Rodotà aizzando addirittura i suoi a una marcia su Roma, poi, dopo aver subito una dura critica dal noto giurista, lo mise alla berlina. Era un vecchio da pensionare. Dietro di lui il suo esercito di «vocianti», applaude. La storia somiglia molto a quella del pifferaio magico dei fratelli Grimm: chiamato dai cittadini di Hamelin per liberarli dall’invasione dei topi, li attrasse col suono del piffero, e i ratti a frotte, senza accorgersene, finirono affogati nel fiume. Sarà questo il destino dei grillini? C’è molta gente che in buona fede li ha votati. L’errore è stato quello di non chiedersi quale fosse il progetto politico del loro leader. Con i no o le invettive difficilmente si costruisce una società.
Se si voleva far fuori il Cavaliere, perché hanno sbattuto la porta in faccia al «governo del cambiamento» proposto da Bersani? Sapevano benissimo che se fossero andati a nuove elezioni non sarebbe cambiato nulla, anzi Berlusconi avrebbe avuto più tempo per la sua rimonta elettorale. Ora chiedono che Napolitano si dimetta, per fare cosa? Per eleggere al suo posto Romano Prodi? Perché non lo hanno votato quando lo bocciarono assieme a una parte del Pd?
In questa rappresentazione non abbiamo parlato degli spettatori. Cioè degli italiani. Aspettano la cancellazione dell’Imu, il blocco dell’Iva, il piano casa, gli aiuti ai giovani, la sistemazione degli esodati e una risposta ai tanti altri piccoli e grandi problemi della nostra quotidianità. Il copione è incerto, è tutto da scrivere. Le certezze, purtroppo, sono le aziende che chiudono e i disoccupati che aumentano: a fine anno saranno tremilioni e mezzo. Lo spettacolo, per adesso, non merita applausi.
Domenico Tempio.
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