Anche dalla Sicilia presentate eccezioni di incostituzionalità.
E’ illegittima, secondo la Consulta, la riforma delle Province contenuta del decreto “Salva Italia”, varato dal governo Monti nel 2011. La sentenza non dovrebbe avere ripercussioni sulla legge regionale che ha abolito le Province e previsto l’istituzione dei Liberi consorzi di comuni.
Secondo la Corte Costituzionale, «il decreto legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate dal presente giudizio». Con l’art. 23 del decreto “Salva Italia”, il governo Monti aveva previsto la riduzione delle Province, nel resto d’Italia, in base a criteri di estensione (2.500 chilometri quadrati) e di popolazione (350mila abitanti). Inoltre, le Province non avrebbero potuto avere più di 10 componenti eletti dai Comuni e il presidente scelto all’interno del Consiglio provinciale.
Secondo la Consulta sarebbero stati violati diversi articoli della Costituzione. Non si trova alcun riferimento, almeno nelle anticipazioni di agenzia, all’art. 114 della Costituzione (Titolo V): «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regione e dallo Stato». Di contro, si può dedurre che se per il riordino e il ridimensionamento delle Province si fosse fatto ricorso all’art. 138 della Carta – procedura rafforzata per le modifiche costituzionali – il responso della Consulta avrebbe potuto essere diverso.
Gli esperti di diritto costituzionale, ovviamente, non si sbilanciano senza avere letto prima la sentenza nella sua interezza. Ma il tema potrebbe essere affrontato dagli esperti, incaricati dal governo Letta, di tracciare le linee guida per la riforma della Costituzione. Il presidente del Consiglio, Letta, nel suo discorso d’insediamento davanti al Parlamento, aveva detto: «Le Province vanno abolite». Concetto ribadito dal ministro per le Riforme costituzionali, Gaetano Quagliarello: «La sentenza della Consulta – ha rilevato – rende ancora più importante intervenire attraverso le riforme costituzionali sull’intero Titolo V, in particolare per semplificare e razionalizzare l’assetto degli enti territoriali».
In Sicilia, come è noto, è già legge l’abolizione delle Province e l’istituzione dei Liberi consorsi di comuni, come prevede l’art. 15 dello Statuto speciale. Una legge di riforma di competenza dell’Ars, che ha superato il vaglio del Commissario dello Stato. Ma sia a livello nazionale sia regionale, alcuni consiglieri provinciali e gli organismi di rappresentanza (Upi e Urps) non si rassegnano. Due ex consiglieri provinciali di Catania hanno chiesto al Tar di sollevare eccezione di costituzionalità nei confronti della legge varata dall’Ars. Il ricorso è stato presentato da pochi giorni ed ancora non è stata fissata l’udienza.
Intanto, l’assessore alle Autonomie locali, Patrizia Valenti, ha costituito le commissioni di esperti tematiche che dovranno relazionare sui vari e delicati aspetti che coinvolgono il passaggio dalle Province ai Liberi consorzi di comuni. La legge istitutiva dei nuovi enti intermedi dovrà essere approvata dall’Ars entro il prossimo 31 dicembre.
La decisione della Consulta non inciderà sull’iter preparatorio della legge di riforma. Ma la nuova norma, se non sarà ben argomentata, potrebbe incappare nella scure del Commissario dello Stato.
Però, se gli esperti nominati dal governo Letta dovessero prevedere tra le riforme costituzionali anche l’abolizione “tout court” delle Province, avrebbe senso dare vita in Sicilia ai Liberi consorzi di comuni? Intanto, questi nuovi organismi avranno competenze specifiche di programmazione e gestione? E quanti saranno i Liberi consorzi di comuni? Più o meno delle nove abolite Province?
C’è chi dice che saranno almeno dodici, comprese le aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Altro nodo da sciogliere è il sistema elettorale. L’impegno del governo Crocetta è quello di dare vita ad enti di secondo livello e con elezioni di secondotipo. La legge nazionale, giudicata illegittima dalla Consulta, per lo strumento improprio utilizzato dal governo Monti (il decreto legge), prevedeva un Consiglio provinciale con non più di 10 componenti eletti dai Comuni e il presidente scelto all’interno dello stesso consiglio.
Con questo sistema, come sostiene Crocetta, i consiglieri non avrebbero una doppia indennità, ma solo un rimborso spese. E rimarrebbero in carica per metà mandato, 2 anni e mezzo. Ma i problemi da affrontare sono diversi, a cominciare dalla collocazione dei dipendenti provinciali.
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