Qualcuno l’ha chiamata «legge Giletti», enfatizzando la sua genesi salottiero-televisiva. Altri hanno parlato senza mezzi termini di «legge bufala», spulciando i numeri di un risparmio di costi non esorbitante. E all’Ars arrivano ciambelle di salvataggio last minute. Ma l’addio alle Province regionali, in Sicilia, è realtà.
Da venerdì sono decaduti ufficialmente i presidenti e gli assessori delle Amministrazioni provinciali ma anche i 335 eletti nei 9 Consigli. Oggi, l’assessore regionale alle Autonomie locali, Patrizia Valenti, ha nominato i commissari prefettizi che traghetteranno gli enti alla scadenza ufficiale del prossimo 31 dicembre, con il new deal delle Città metropolitane (Catania, Messina e Palermo) e dei Liberi Consorzi di Comuni (se ne stimano almeno 30-33).
I commissari, nominati dal governo regionale: a Palermo arriva Domenico Tucci, a Siracusa Alessandro Giacchetti, a Messina Filippo Romano e ad Agrigento Benito Infurnari. Restano in carica invece i quattro uscenti: Antonella Liotta a Catania, Darco Pellos a Trapani, Giovanni Scarso a Ragusa, Raffaele Sirico a Caltanissetta. Manca solo l’accordo sul nome per Enna, dove potrebbe arrivare l’attuale viceprefetto Salvatore Caccamo.
Quello di venerdì è stato un passaggio non soltanto simbolico del percorso verso la nuova mappa delle autonomie locali in Sicilia. Non ci saranno mai più elezioni provinciali e i singoli municipi avranno la facoltà di scegliere la propria aggregazione alle nuove unità territoriali, con organi amministrativi non più elettivi, ma di nomina dei Comuni-soci, senza indennità di carica e gettoni di presenza aggiuntivi. «Il risparmio complessivo stimato in 50 milioni – ricorda l’assessore Valenti – dipende innanzitutto da 10-15 di costi della politica, mentre il resto si otterrà mettendo a regime il coordinamento di enti, consorzi e patrimoni delle Province».
Un risparmio-bluff, secondo i detrattori della legge. A partire dall’Upi (Unione province italiane), non certo al di sopra delle parti eppure certosina nel dare alcuni numeri tratti dal Siope, il Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, banca dati del ministero del Tesoro. Nel 2012 il costo della politica nelle 9 Province siciliane ammonta a 17 milioni (3,39 euro per ogni siciliano), al fronte dei 166 milioni spesi dalla Regione (32,97 euro a cittadino) e ai 58 milioni di indennità e gettoni nei Comuni, con un’incidenza pro capite di 11,53 euro).
Uno “spread” ancor più visibile se si considera il personale (quello delle Province verrà comunque assorbito) degli enti siciliani: la Regione spende oltre 9 miliardi di euro per i 17.157 dipendenti (di cui l’11% dirigenti), che costano a ciascuno cittadino siciliano 321,33 euro; i Comuni spendono in stipendi 4,5 miliardi per oltre 40mila dipendenti (289,33 euro a cittadino); le Province pagano per i 5.600 assunti (l’1,8% dirigenti) circa 600 milioni, ovvero 39 euro a contribuente.
«È evidente che se si deciderà di spostare il personale delle Province nella Regione o sui Comuni la spesa pubblica aumenterà vertiginosamente», preconizza il presidente dell’Upi Antonio Saitta. Che invita la Regione a guardare un altro tipo di spending review, quella «delle società e degli enti strumentali che sono il vero spreco della politica». La Regione ne ha 206, che nel 2012 sono costati oltre 28 milioni di euro; una spesa destinata per quasi il 90% al pagamento dei costi dei Cda, delle sedi, del personale.
Numeri che, assieme ad altre valutazioni politiche, portano il deputato regionale Enzo Vinciullo a invocare il dietrofront su «un provvedimento preso sull’onda delle emozioni e della follia politica complessiva, chiedendo che «si torni in Aula e si faccia una nuova legge, dando più competenze alle Province, così come in un mio ddl, abbattendo davvero i costi della politica e tutelando stipendi dei dipendenti e scuole».
Ma il tempo sembra scaduto. Tanto più che sono ormai in avanzato stato le trattative per i nuovi commissari. Al centro, fra gli altri punti, di una «collaborazione istituzionale» avviata a Roma fra il governatore Rosario Crocetta e il segretario del Pdl, Angelino Alfano.
E poi il capitolo sul personale. Per l’Unione delle Province regionali (Urps), sarebbero a rischio gli stipendi, a partire da luglio. Nelle casse delle Province mancherebbero circa 80 milioni per i quali il governo regionale sta definendo una manovra di assestamento del bilancio, «tenendo invariati comunque i saldi». Anche di Province il governatore ha discusso mercoledì con il premier Enrico Letta. «Il personale stia tranquillo, non si perderà un solo posto di lavoro», continua a dire Crocetta. Si temono a breve anche problemi su alcune attività gestite dagli enti, a cominciare dalle scuole; ma anche su questo versante ci sono le rassicurazioni dell’assessore Valenti.
Tanto più che una boccata d’ossigeno è arrivata in extremis con la firma dell’accordo sul patto di stabilità verticale. La Regione ha ceduto spazi finanziari alle Province per 57 milioni di euro, distribuiti ai nove enti: 13 milioni a Palermo; 11,8 a Catania; 6,1 a Messina; 5,6 a Siracusa; 5,2 a Ragusa; 4,8 ad Agrigento; 4,4 a Trapani; 3,3 a Enna; 2,8 a Caltanissetta. Ma si tratta di fondi destinati a essere “bruciati” in breve tempo. Ben poca roba rispetto ai 292 milioni di debiti che “mamma Regione” erediterà dalle 9 Province, laddove non sforavano il Patto di stabilità che ora a Palazzo d’Orléans sarà messo a rischio da queste spese subentrate.
Una ragione in più per accelerare sui tempi: le Province dovrebbero essere soltanto un (brutto?) ricordo entro il 31 dicembre, data di promessa istituzione dei Consorzi di Comuni su cui lavorano i “saggi” dell’assessore Valenti. «Spero sia pronto al più presto e che l’Ars lo approvi entro i termini che ci siamo dati», auspica Crocetta. Anche perché ogni giorno di ritardo sarà un costo. Il rischio è che la lentezza nella “rottamazione” delle Province delegittimi il motivo per cui s’è deciso di abrogarle: il risparmio di soldi pubblici.
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