Enrico Letta e Rosario Crocetta, premier a Roma il primo, governatore in Sicilia l’altro, nonostante il loro encomiabile tentativo del «fare», sono costretti a difendersi dagli assalti dei compagni di cordata.
Sbrighiamo subito il capitolo Crocetta, perché, dopo il successo nelle recenti amministrative, ci sembra quello meno in pericolo. Memori di passate libagioni, Pd e Udc, vogliono un posto a tavola. Il governatore tira dritto. Il suo credo sembra essere il «non ti curar di loro». Sino a quando, non lo sappiamo. Ha in mano troppe patate bollenti. Ben seimila famiglie a gennaio saranno sul lastrico per mancanza di fondi della cassa integrazione. Ci sono poi da sistemare gli «orfani» della riforma delle Province.
Diverso il discorso per Enrico Letta. Per lui sarà un fine giugno al cardiopalmo. Il suo compito è difficile per due motivi: uno, il più importante, la notoria crisi economico-sociale; l’altro la tenuta di una maggioranza dalle opposte linee politiche, che ha contrasti non solo al suo interno ma anche dentro i partiti che la compongono. Per Letta c’è, però, un altro pericolo che incombe: i processi nei confronti di Berlusconi.
Il primo ostacolo da superare per il Cavaliere sarà la decisione della Consulta, prevista per mercoledì prossimo, sul caso Mediaset. Ci sarà poi la sentenza di lunedì 24 sulla vicenda Ruby. Se dovessero essere entrambi negative per l’ex premier, non crediamo che, pur nell’inevitabile ira, Berlusconi farà saltare il tavolo. Non avrebbe per il momento alcuna convenienza, dato che, dopo la sconfitta alle amministrative, vuole rifondare il partito. Letta dovrebbe temere, invece, eventuali sgambetti da parte di alcuni suoi compagni. Non è un segreto che i duri e puri del suo partito hanno accettato con mal di pancia l’accordo con il Caimano. Se questi dovesse essere azzoppato, potrebbero tornare all’assalto della diligenza che ha come nocchiero non il solo Letta, ma lo stesso capo dello Stato.
I segnali ci sono. I delusi, Bersani e nuovi turchi (quelli non riciclati nel governo) coccolano i grillini in fuga dal loro guru. C’è chi, addirittura, denuncia una compravendita in atto. Ma conviene al Pd, reduce da una netta vittoria alle recenti amministrative, una crisi di governo? C’è pure da loro in corso una transumanza che in autunno dovrebbe portare al rinnovamento del partito. Come si vede in una situazione economica la più disastrosa che si ricordi, si assiste a una involuzione all’interno degli schieramenti, impegnati nella ricerca della perduta identità. Aggiungansi i flop di Grillo e della Lega, e il quadro futurista della politica sembra difficile da leggere.
Un quadro che allarma perché si ha la sensazione che ci sia qualcosa di anomalo nel nostro tessuto sociale. Un virus difficile da intercettare e, quindi, da curare, sembra avere aggredito il corpo inerte del Paese. C’è, ovviamente, chi specula sulla rabbia, giusta senz’altro, della gente; c’è chi spinge alla violenza fisica, e le donne sono le maggiori vittime; c’è chi fomenta via web una generazione di delusi; c’è chi approfitta del caos per istigare una battaglia del tutti contro tutti. Persino la magistratura sembra cadere in questa palude. Vedi il recente caso Messineo-Ingroia e il controverso patto Mafia-politica, poco intellegibili per l’uomo della strada.
Sentiamo ripetere quotidianamente: l’occupazione innanzitutto, specie quella giovanile. E, pur di continuare a sperare, ci sforziamo di credere. Lo stesso decreto del «fare» varato ieri induce a un pacato ottimismo. Rimane, però, la diffidenza verso chi, ad esempio, promette di togliere l’Imu o di non aumentare l’Iva, per poi dire: non ci sono i soldi. E se Marchionne lancia l’idea di un piano Marshall per l’Italia, per noi del Sud, che da tempo lo chiediamo, più che una proposta sembra una provocazione. A suo tempo nessuno colse l’allarme. Il Sud, se si fosse intervenuto in tempo, non sarebbe stato considerato una zavorra per il Paese. Le nostre aspirazioni, si sa, non fanno notizia. Tranne se si parla di mafia e delle sue vittime. Che non sono solo i morti ammazzati, ma anche coloro che per disperazione si arruolano nelle fila della criminalità. E’ l’unico lavoro che, purtroppo, il «mercato» offre.
Domenico Tempio, LaSicilia
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