Un’Italia rancorosa, come quella che drammaticamente viviamo oggi, è in grado di recepire l’appello del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, di «uno sforzo straordinario di mobilitazione operosa e di coesione sociale»?
Oppure capire sino in fondo l’analisi spietatamente vera del Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, «siamo indietro di 25 anni e non siamo stati capaci di rispondere ai cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici avvenuti in questo ultimo quarto di secolo»?
C’è un dato dell’Istat, proprio dell’ultima ora, che supporta questi allarmi: la disoccupazione giovanile. In Italia la percentuale dei senza lavoro è del 40%, al Sud del 51, 9%, in Sicilia è addirittura superiore di qualche punto. Ciò si spiega perché viene a mancare la fiducia non solo nel futuro ma nel presente. Sono in molti i giovani che si sono arresi e che neanche cercano qui da noi un lavoro.
E pensare che la Germania, nella sua onnipotenza economica che la fa essere, addirittura, concorrente nel mondo alla stessa Europa, apre, invece, le sue porte a risorse umane qualificate. Uno shopping diverso dal passato: non più l’operaio in cerca di fortuna, ma «cervelli» capaci di rafforzare l’egemonia tedesca.
Noi invece siamo alla ricerca del tempo perduto. Difficile da recuperare. Secondo i dati della Cgil, potremmo raggiungere i livelli occupazionali del 2007 solo tra 63 anni. Un’eternità. Non per i giovani di oggi, e, forse, neanche per i loro figli.
Davanti a queste drammatiche prospettive, tutto diventa relativo. La stessa lite tra i partiti e al loro interno. C’è in campo il governo Letta? Ebbene, è trascorso appena un mese, e la sua maggioranza, Pd e Pdl, a turno tenta di sgambettarlo. Questo sì, questo no, questo vediamo. Si tagliano i finanziamenti ai partiti, richiesti da quasi tutti dopo gli scandali Lusi, Belsito, Fiorito e altri, ma subito sorgono i lamenti di dolore. E adesso come facciamo? Andiamo in cassa integrazione, come minaccia il Pd. Alla fine è sempre lo Stato, il fantomatico Pantalone, a pagare.
Da apprezzare, invece, pur nell’endemica crisi di casa nostra, i tagli che il governo Crocetta annuncia di voler fare a quel deleterio clientelismo che è la Formazione. Un istituto creato per avviare i giovani al lavoro, che invece ha saputo dare solo lavoro agli insegnanti o presunti tali. Del resto le occasioni di lavoro dove sono?
La disoccupazione qui al Sud è sempre in aumento e negli ultimi quattro anni sono state chiuse il triplo delle imprese rispetto al resto del Paese.
L’ordinario di marketing del Politecnico di Milano, Giuliano Noci, nel suggerire due politiche diverse per Nord e Sud, evidenzia la necessità sinergica tra queste due macroaree. Il Nord guardi il Sud come volano fondamentale per la sua crescita industriale, dato che quest’ultimo è «un importante mercato di destinazione di beni e servizi delle imprese settentrionali». A sua volta il Sud sfrutti per il bene suo e di tutto il Paese, le sue doti: le risorse paesaggistiche e culturali e la posizione di naturale ponte verso i paesi africani a maggior tasso di crescita. Non è, ovviamente, una scoperta. Ma ribadirlo conferma quanto tempo si è perso per creare nel Sud, in particolare in Sicilia, le condizioni per sollevarla dal pantano dove si è lasciata affogare.
In Italia la settimana scorsa il 50% degli elettori non è andato a votare. Speriamo che domenica prossima non accada in Sicilia, anche se le premesse, purtroppo, esistono. Si voterà in 141 Comuni, tra cui capoluoghi come Catania, Messina, Ragusa, Siracusa (cioè quattro su nove). Non è con la fuga dalle urne o con il grillismo d’annata che si salva il Paese. Il rischio, come ieri ha detto Napolitano, è che si scivoli verso l’inconcludenza. In tal caso sarà difficile riconquistare quel tempo perduto di cui parlavamo prima.
Ci sono, secondo Visco, 25 anni da recuperare. Secondo la Cigl 63 anni. Per la Sicilia, purtroppo, come di solito accade, gli anni sono sempre di più.
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