Il governo tra l’incognita Berlusconi e il malumore grillino.
Non so spiegarmi perché le generali perplessità suscitate dalla nascita del governo presieduto da Enrico Letta, per alcuni da rottamare al più presto, mi hanno richiamato alla mente quelle che inquietarono i parigini quando nel 1889, in occasione dell’Esposizione Universale, videro ergersi un vero mostro ferreo costituito dall’altissima Torre Eiffel rimasta famosa col nome del suo ideatore. Gli esteti urbanisti, denunciandone allora l’anomalia, vedevano turbata la severa classicità della Ville Lumière e ne auspicavano la pronta demolizione. Così non fu ed anzi, con l’andar del tempo, ne constatarono la insostituibilità nel panorama della capitale francese, peraltro fonte di cospicue entrate, ancor maggiori di quelle ricavate dalle visite al Louvre.
Nell’attualità credo che nessuno avrebbe pronosticato la possibile convivenza nello stesso governo di forze politiche che per decenni si sono combattute aspramente, mai concedendosi, nelle alterne reciproche sconfitte, neppure l’onore delle armi e addirittura respingendo qualsiasi pur larvata forma di collaborazione.
Se l’uno diceva bianco, l’altro immancabilmente diceva nero, e viceversa. A metterli d’accordo – crediamo senza volerlo – è stato l’atteggiamento davvero inconsulto di Grillo. Il quale, dopo l’inimmaginabile (per l’entità) clamoroso successo elettorale, si è rifiutato di avere un qualsiasi approccio con i due principali poli dello schieramento parlamentare, agendo quasi al pari di un equipaggio ammutinato che impedisce il governo della nave anche a costo di un disastroso naufragio.
E va detto che, mentre da un canto è ammissibile (è successo in passato) che un ridotto drappello movimentistico in Parlamento si limiti, per principio, a far opposizione intransigente, stimolando la maggioranza a fare quanto si ritiene giusto e utile, ma censurandola aspramente in caso contrario, d’altro canto è intollerabile che dai “Cinque Stelle”, pur rappresentando un terzo degli elettori, non si capisca che questa parte non può restare senza voce o limitarsi a lanciare improperi a destra e a sinistra. E la cosa più grave è che se qualcuno del Movimento – richiesto di dare spiegazioni – tenta di colloquiare e di infrangere, pur balbettando, il muro del silenzio, questi viene subito richiamato all’ordine: come quelle pecorelle che, appena si distaccano dal gregge, vengono subito raggiunte da un ringhiante cane-pastore e subitamente ricondotte al pascolo.
E’ comune pensiero degli opinion-maker che il “flop” registrato da Grillo nelle recenti consultazioni amministrative – i suoi candidati non sono andati neppure al ballottaggio – sia dipeso da siffatto comportamento assenteista, giacché dai più ci si aspettava quanto meno un appoggio indiretto al partito che maggiormente si fosse avvicinato alle proposte avanzate in campagna elettorale. Chi, anzi, aveva tentato un approccio con i due sbiaditi parlamentari del Movimento 5 Stelle – evidentemente radiocomandati – dall’incontro ne è uscito scornato. Parlo del povero Bersani che alla fine ci ha rimesso le penne, come il “tacchino sul tetto” evocato in un poco memorabile intervento comiziale, posto che l’ex leader democratico non ha proprio la stoffa del comico-istrione, dote rivelatasi (ignobilmente) utile in campagna elettorale.
E perciò non è prevedibile se la contingente costruzione bipolare del governo Letta sarà presto smontata (come si pensava per la torre parigina) e tolta dal panorama politico, ovvero se, per necessità, rimarrà ancora a lungo. Residua, infatti, l’ipotesi che il Cavaliere – gli umori e gli intereressi del quale sono sempre cangianti e prevalenti – dopo averne celebrato il battesimo non voglia anche officiarne il funerale.
D’altronde resta del pari imprevedibile quanto nell’immediato futuro penseranno di fare i parlamentari grillini, tra l’altro frastornati e infastiditi dalle irrisioni provenienti pure dalla Rete a causa di una certa loro dabbenaggine, gabbata per ingenuità. E’ facile notare, però, che fra di essi cominciano a serpeggiare insofferenze e malumori, specie perché non gradiscono l’idea che si ritorni presto alle urne dopo avere conquistato il seggio quasi per effetto di una miracolosa contingenza non facilmente ripetibile. L’ultima loro trovata è quella di indire nel prossimo anno un referendum per uscire dall’Europa. Così come in tanti altri temi che li vedono clamorosamente impreparati, ignorano (argomento ex art. 75 della Costituzione) che i referendum non sono consentiti in materia di convenzioni internazionali, come quella che ha istituito la moneta unica.
Inoltre, quale una spada di Damocle, incombe pericolosamente sulla scena la situazione del Cavaliere che oscilla tra una possibile interdizione dai pubblici uffici per via giudiziaria e|, per via parlamentare, una ipotizzata dichiarazione di ineleggibilità a causa del suo plateale conflitto di interessi. Ma neppure la Sibilla Cumana saprebbe oggi vaticinare, con buon grado di probabilità, quale sarà la soluzione dello spinoso problema. Ed è perciò che il futuro rimane per molti aspetti confuso e indecifrabile.
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