Primo caso al mondo riaccende le polemiche dopo la vicenda della Jolie
Londra. Dopo il clamoroso caso di Angelina Jolie, ora è un uomo a far discutere. Un manager di Londra di 53 anni è il primo al mondo che si è fatto togliere la prostata, benché sana, quando ha scoperto, dopo essersi sottoposto a un “trial” dell’Istituto inglese per la ricerca sul cancro, di avere un gene che aumenta il rischio cancro, detto “Brca 2”.
L’intervento ha scatenato un nuovo dibattito dopo l’annuncio dell’attrice americana che si era sottoposta a una doppia mastectomia preventiva per evitare di ammalarsi di cancro.
Anche lei, infatti, aveva scoperto di avere un cosiddetto gene “difettoso”, nel suo caso il “Brca 1”.
Sino ad ora si pensava che i due geni potessero “attivare” processi tumorali solo al seno, ma studi recentissimi hanno dimostrato che possono agire anche negli uomini e scatenare il cancro della prostata. Il fatto che i suoi familiari abbiano avuto il cancro al seno e alla prostata ha spinto il manager britannico, di cui non è stato rivelato il nome, a chiedere con insistenza ai propri medici di operarlo ed asportare la ghiandola a rischio.
All’inizio i chirurghi e gli oncologi londinesi erano molto scettici. Hanno condotto una serie di esami, che non hanno mostrato però alcun problema. Si sono convinti del tutto ad intervenire solo quando hanno prelevato tessuti dal paziente e individuato alcune mutazioni maligne che in futuro avrebbero potuto generare la malattia.
«Anche di fronte al relativamente basso numero di cellule cancerogene nella prostata del paziente non avremmo agito subito – ha spiegato il chirurgo Roger Kirby – ma ci ha fatto cambiare idea la presenza del gene Brca 2». La “sorpresa” che ha lasciato i medici di stucco è arrivata dopo l’intervento: dagli esami istologici è risultato una presenza di cellule tumorali che prima non era stata vista. «Ora il paziente starà bene», ha affermato Kirby.
Resta, comunque, aperto il dibattito dei medici su questa chirurgia preventiva per evitare eventuali tumori. Secondo il professor Pierfrancesco Bassi, professore ordinario di Urologia alla Cattolica di Roma, la presenza di un’anomalia genetica non rappresenta la certezza assoluta di sviluppare il tumore della prostata. Per Bassi, la scelta dell’uomo inglese non può essere un percorso condivisibile anche se «un recente studio inglese dimostra come la presenza del gene Brca 2 nel maschio aumenti il rischio relativo di sviluppare il tumore di 9 volte circa rispetto alla popolazione normale». Una scelta «incomprensibile e non condivisibile dal punto di vista scientifico» anche per il genetista Edoardo Boncinelli dell’Istituto San Raffaele di Milano.
Il rischio di questo tipo di tumori è in aumento ma al contempo scende la mortalità. Un uomo su sedici in Italia sviluppa un tumore alla prostata. Il numero di nuovi casi è in continua crescità, con un raddoppio negli ultimi dieci anni dovuto soprattutto all’aumento dell’età media della popolazione. Ma questo tipo di tumore non è fra i big-killer, e in media oltre il 70% dei malati sopravvive dopo i 5 anni dalla diagnosi.
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