Al “Borsellino quater” parla il carabiniere che portò via i documenti del giudice assassinato.
La Procura nissena tira fuori un nuovo video in cui si vede l’ex capitano (oggi colonnello) dei carabinieri Giovanni Arcàngioli in via D’Amelio dopo l’esplosione dell’autobomba mentre si ferma a parlare con altre persone, compresi alcuni militari dell’Arma, dopo avere preso la borsa di Paolo Borsellino dalla Fiat Croma semidistrutta.
Un video presente da diverso tempo su You Tube che martedì, nel corso della tredicesima udienza del nuovo processo sulla strage di via D’Amelio – in cui sono imputati per strage i boss Salvatore Madonia e Vittorio Tutino e per calunnia i pentiti Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci – il procuratore aggiunto Domenico Gozzo ha mostrato ad Arcàngioli, sul pretorio in qualità di teste.
Arcàngioli sembra aver riconosciuto uno dei carabinieri mostrati nel video come un sottufficiale di nome Calabrese.
Una deposizione “travagliata” quella resa ieri dall’ufficiale, che ha detto a chiare lettere di non essere sereno non appena il procuratore capo Sergio Lari gli ha rivolto le prime domande.
«Vivo da otto anni – ha detto Arcàngioli – in una situazione che non so definire e che ha distrutto me e la mia famiglia. Non so cosa ho fatto per meritare questo, ho cercato di aiutare le indagini provando a dare un ordine ai miei ricordi e sono stato processato ed indagato per il furto dell’agenda rossa, (vicenda coperta da una sentenza assolutoria definitiva, mentre l’indagine per il reato di false dichiarazioni alla Procura è stato archiviato nei giorni scorsi, ndr). Ho paura di poter essere incriminato nuovamente, altre persone che non avevano ricordi nitidi non sono state indagate, io ho rispetto per il lavoro che state facendo e per la divisa che porto, ma forse non è successo altrettanto nei miei confronti».
Diversi i particolari su cui il procuratore capo Sergio Lari, l’aggiunto Domenico Gozzo ed il sostituto Stefano Luciani hanno cercato di far luce con le loro domande, ma il testimone si è spesso trincerato dietro un «non ricordo». Vestito con giacca chiara, cravatta, camicia e pantaloni blu; capelli brizzolati e pizzetto, Arcàngioli è ben diverso dal trentenne “immortalato” nelle immagini in cui lo si vede chiaramente allontanarsi dall’auto di Borsellino, con la borsa del magistrato in mano. «Non ricordo – ha raccontato il teste – come entrai in possesso della borsa e dove è andata a finire. Sarebbe semplicissimo e per me comodo spostare il testimone ad un’altra persona, ma non me lo ricordo».
Qualche spiraglio di luce pian piano è emersa in seguito alle contestazioni mosse dai rappresentanti dell’accusa: «La borsa l’ho aperta, ma ho visto solo un crest (stemma da parete) dei carabinieri e dei fogli di carta, ma in quel momento… con quello che era successo… per me quella borsa non aveva alcun interesse investigativo».
Poi è stata la volta dell’ex magistrato e parlamentare Giuseppe Ayala, pm del primo maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino, il quale senza mezzi termini ha parlato di qualcuno che ha tradito le istituzioni facendo sparire deliberatamente l’agenda rossa di Paolo Borsellino: «E’ acclarato – ha detto l’ex magistrato – che Paolo portasse con sé l’agenda rossa e l’avesse nella borsa, lo hanno detto in tanti, a partire dai familiari. Da parte mia io non ne avevo idea perché con Paolo non ci vedevamo da sei anni, da quando lui era andato alla Procura di Marsala e quando tornò a Palermo io avevo iniziato a fare politica. Credo di avere avuto la borsa in mano per cinque secondi e subito la diedi a un ufficiale dei Carabinieri, mi sembrò la soluzione più naturale, io non ero più nemmeno magistrato. Il contenuto è stato selezionato e la selezione non credo potesse essere fatta in quel momento, c’è qualcuno che quando ha svuotato la borsa deve avere avuto il tempo di vedere l’agenda, leggere quello che c’era scritto e pensato, tradendo le istituzioni, che era meglio farla sparire. Rimasi poco in via D’Amelio, corsi subito ad avvisare i miei figli a Mondello perché si era diffusa la notizia che fossi stato io la vittima dell’attentato».
Il testimone, inoltre, ha ricordato di avere incontrato Paolo Borsellino una sola volta dopo la strage di Capaci e di averlo visto preoccupato: «Andai a parlare con lui dopo aver sentito Nino Caponnetto (ex capo del pool antimafia), il quale mi raccontò che Paolo era piuttosto giù. Stava lavorando in maniera intensa, gli dissi di allentare, di calmarsi, visto anche il momento difficile. Lui rispose che non poteva lavorare di meno perché gli restava poco». L’esame di Ayala riprenderà la prossima settimana.
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