I contadini ragusani che lavoravano nella valle del fiume Irminio (ma anche nelle altre, vassalle del “fiume Grande”), partivano da casa all’alba, e ne tornavano al tramonto. Sulla strada del ritorno, risalendo la cava verso Ibla, raccoglievano lungo il percorso tutte quelle piante “utili”, latu sensu.
Quindi piante officinali e medicinali (il cui utilizzo era in realtà demandato a pochi “esperti”, di norma anziane donne), e soprattutto piante commestibili, quelle che i botanici chiamano “fitoalimurgiche”.
Secondo la stagione, i “ciumarari” raccoglievano anche frutti spontanei di alberi e arbusti cresciuti ai margini degli antichi percorsi: ranata (melograni), murtida (mirto), ficu (fichi), ficupali (fichi d’India), noci.
Ma tra gennaio e aprile (dipende molto dalla quota del terreno, con almeno un mese di differenza tra le piante cresciute nei dintorni del mare e quelle nei dintorni di Monte Lauro), la piante commestibile più ricercata era – ed è tuttora – l’asparago. In termini scientifico-botanici è “asparagus officinalis”, mentre in dialetto è semplicemente “u spariciu”. E quegli stessi contadini di cui si diceva, risalendo dalla cava al monte, incontravano spesso sulla strada qualcuno a chiedere: “cchi purtati? “. E la risposta era spesso “sparici e cavalieri”.
Si nota subito, anche a non frequentare la lingua degli antichi, l’evidente doppio senso, “sparici e cavalieri” si può infatti rendere con “asparagi ai cavalieri”, ovvero dono ai padroni di quelle stesse terre lavorate lungo la cava, ma anche “sparagli ai cavalieri, ai padroni”, con fare però scherzoso, mai minaccioso, ma certamente significativo di una sottile quanto semisommersa vena di carnecialesca beffa sempre pronta ad emergere, seppure camuffata dai giochi verbali dei doppisensi. Oggi nessuno lavora più nella cava, le terre riparali (quelle che in dialetto erano “le lenze” e che per la loro fertilità data appunta dall’essere irrigue, per secoli furono oggetto di esose compravendite tra i maggiori proprietari) sono di fatto abbandonate e stanno tornando tutte alla vegetazione ripariale spontanea, fatta di pioppi, salici e i rarissimi platani orientali. Oggi nessuno ne risale le trazzere al tramonto. E se nessuno chiederà mai “cchi purtati? ” e meno che mai ci sarà chi potrà rispondere “sparici e cavalieri”. Ma certamente si tramandata nei ragusani di oggi (e non solo in loro) il piacere di raccogliere erbe spontanee e tra di queste la regina delle alimentari: l’asparago.
Gente che da sola raggiunge le zone dove sa di poter trovare le tipiche piante, verde scuro e spinosissime, con la quasi certezza di trovarne nel mezzo il germoglio, ovvero la parte effettivamente commestibile, amara di sapore, dal tipico odore. E guai a farsi scappare il nome della contrada o anche solo larvate indicazioni sulla trazzera percorsa. Ma sappiamo anche di intere comitive che – appena trovate due ore libere – partono alla ricerca di “lassini” (in italiano è la senape, termine scientifico Sinapis arvensis), o dei più rari ma certamente più apprezzati “matalufi”, in italiano è l’asfodelo, nome scientifico “Asphodelus microcarpus”. Piante che poi finiranno tra la pasta o, con le uova, in saporite frittate. Sappiamo infine di gruppi di appassionati che hanno addirittura organizzato vere e proprie gare di raccolta: vince chi ha raccolto più asparagi. E siccome “u spariciu” nella sua fase commestibile è un germoglio sempre molto ben mimetizzato, può accadere di tornare a casa dopo due o tre ore con un bel mazzo smeraldo, ma con le mani purpuree.
Sparici e cavalieri
L’asparago (“asparagus officinalis”), è pianta diffusa sui terreni poco lavorati. Necessita di un periodo di pioggia e raggiunge il culmine della germogliazione tra gennaio ed aprile. Utilizzato in cucina per condire pasta, riso e con le uova per le famose frittate, è fortemente diuretico
Aspettando i germogli
I “lassini” (in italiano senape, termine scientifico “Sinapis arvensis”), è delicata pianta erbacea che si raccoglie tra marzo e aprile. Ridotto il periodo di raccolta, perché è commestibile solo poco prima che germogli il tipico fiore giallo.
Mataluffo o asfodelo
I “matalufi”, in italiano asfodelo, nome scientifico “Asphodelus microcarpus”. Pianta bellissima alla fioritura, è molto ricercata per la delicatezza del sapore. Molto difficile invece l’operazione di pulizia che consiste nel recuperare solo parte del delicato stelo, eliminando le foglie e tutto il resto
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Fra poco ritornerò a Ragusa per un mesetto e spero di potere assaggiare i sparici e i matalufi