Last updated on Marzo 21st, 2013 at 08:48 am
Turismo e gastronomia. I due “guru” del cibo buono martedì a Palermo: «L’Isola è un’opportunità immensa».
Agroalimentare e turismo. La Sicilia siede su un tesoro che potrebbe garantirle futuro, sviluppo e lavoro. Ma ancora non l’ha capito. E neppure il resto dell’Italia.
E’ impietosa l’analisi di Oscar Farinetti, il fondatore di Eataly, e di Carlo Petrini, l’inventore di Slow Food e di Terramadre per il quale «chi semina utopie raccoglie realtà straordinarie».
I due “guru” del cibo buono, pulito e giusto, martedì erano a Palermo per partecipare al ciclo di seminari promossi dal Dipartimento Demetra della Facoltà di Agraria dell’Università di Palermo e dall’Assessorato regionale alle Risorse agricole e alimentari.
«Eppure – spiega Farinetti – tutto il mondo vuole mangiare e vestire come noi. Gli italiani sono appena lo 0,83% della popolazione mondiale e il restante 99,17% vuole mangiare e vestire italiano.
E’ un caso che si esportano 31 miliardi di euro di agroalimentare del Bel Paese e nel mondo si vendono altri 60 miliardi di falso made in Italy?
Questo significa che il Pianeta ci chiede agroalimentari buoni, puliti e giusti per 90 miliardi di euro. Ci sarebbe lavoro per tutti. Altro che crisi! Bisogna guardare al futuro e investire in settori dove l’Italia è fortissima: agroalimentare, turismo, moda, design, industria di alta precisione».
E per quanto riguarda la Sicilia?
«L’isola è un marchio. Tutti, nel mondo, sanno dove si trova. Bisogna legare insieme l’agroalimentare, le bellezze artistiche e il paesaggio che sono gli asset su cui si basa il turismo. La Sicilia li ha tutti, però ha meno turisti dell’Emilia Romagna. Non credo che il mare e il paesaggio siano superiori a quelli siciliani. Bisogna cambiare l’offerta».
Quanto è importante, rispetto alle bellezze artistiche e al paesaggio, l’agroalimentare nel turismo?
«L’Italia, da sola, ha una biodiversità – e quindi prodotti agroalimentari – senza confronti. E’ un grande valore che va sfruttato tutti insieme. La federalizzazione è stata una jattura per il turismo, un errore gravissimo. Lo dicono i numeri. In Italia arrivano 47 milioni di turisti l’anno, in Spagna 57, in Francia 80. Bisogna ricominciare a parlare di Italia se vogliamo cambiare questi dati».
All’agroalimentare serve comunicazione?
«Sì, va raccontato, a partire dall’etichetta su cui, purtroppo, vengono riportati soltanto autorizzazioni ed altre amenità burocratiche. Bisogna invece spiegare com’è fatto un cibo o un vino. La gente vuole sapere queste cose. La comunicazione dà valore alle cose che hanno valore e questo l’agroalimentare italiano ce l’ha. Lo dobbiamo, però, raccontare. Nei centri Eataly noi vendiamo cibo d’eccellenza ma parliamo anche dell’Italia e delle regioni, delle nostre città e dei musei, delle nostre canzoni e della nostra letteratura. Raccontiamo il nostro Paese perché alla gente venga una voglia matta di andare in Italia. Più riusciremo a vendere agroalimentare italiano vero, più avremo turisti; più venderemo porcherie, meno ne avremo. Però dobbiamo migliorare le nostre strutture. Il turista che sale sul trenino Fiumicino-Roma non tornerà più in Italia. Troppa sporcizia. Bisogna recuperare. Bastano sei mesi per offrire un volto diverso».
C’è un futuro nell’agroalimentare?
«Sì e sarà straordinario. Gli italiani spendono per il cibo appena il 20% del loro reddito e quindi c’è spazio per migliorare produzione e fatturato. L’export, in qualità e numeri, conferma questo dato».
Investirà in Sicilia?
«La mia intenzione sarebbe questa. Ma ci penseranno i miei figli. I miei cicli di lavoro sono decennali e a metà 2014 finirà l’esperienza di Eataly. Cambierò lavoro. Ho già dato il massimo. Adesso devo decidere cosa fare da 60 a 70 anni».
Si dedicherà al turismo?
«Penso di sì. Ci sono potenzialità enormi per l’Italia e per la Sicilia è un’opportunità immensa. L’Isola ha tutte le carte in regola».
Quali sono i prodotti agroalimentari siciliani più richiesti e venduti nei centri Eataly?
«Un po’ tutti. La Sicilia è un bel marchio e piace molto. Quando dici la parola Sicilia senti già in bocca un buon sapore. Nel settore degli oli extravergine d’oliva sono stati fatti passi da gigante. Il profumo di pomodoro maturo e di erbe sono indimenticabili. Non mettere sull’insalata l’olio siciliano è follia pura, secondo me. E poi ci sono grandi vini e tanti altri prodotti come il pomodoro “Ferrisi” che prende il nome di chi lo ha coltivato per primo. Costa 15 euro al chilo, un patrimonio, ma sono indimenticabili. Originariamente “cuore di bue”, quando sono ancora verdi i contadini sostituiscono l’acqua dolce con quella salata. I pomodori rimangono piccoli e concentrati. I prodotti siciliani si vendono bene. Il pistacchio di Bronte è un esempio. All’Eataly di New York, 80 milioni di dollari di fatturato, 810 dipendenti, abbiamo dedicato un mese e mezzo alla Sicilia e ai suoi prodotti. Migliaia di persone ad assaggiare e a comprare. Un produttore del Palermitano con il suo olio ha letteralmente fatto impazzire gli americani». lasicilia
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