Mario Monti: «Basta fare promesse alla Sicilia impegni seri per opere e lavoro. Dobbiamo partire dalle infrastrutture indispensabili e per ora il Ponte non lo è».
Presidente Monti, lei ha una grande ed apprezzata esperienza da Commissario Europeo, ora è presidente del Consiglio uscente. La Sicilia, così come tutto il Mezzogiorno, hanno il pesante destino di essere eternamente aree disagiate, Obiettivo 1, come si dice a Bruxelles. Tanti soldi, pochi progetti, molta brutta figura da anni con i gli europartner.
«Certo, il fatto di essere ancora area Obiettivo 1, quindi di godere di finanziamenti importanti e fondamentali per favorire crescita e sviluppo, deve essere una situazione da valorizzare e sfruttare. In questi quattordici mesi di governo da me presieduto, grazie all’impegno del Ministero per la Coesione, siamo riusciti a spendere più di quanto non fosse stato fatto nei cinquantotto mesi precedenti. Dal 15% siamo passati al 32%. E questa accelerazione della spesa, è importante ricordarlo, ha consentito al nostro Paese di evitare pesanti riduzioni nei finanziamenti per il futuro».Non sono, insomma, i soldi che mancano, ma ci vogliono idee chiare, progetti concreti e, magari, presidente, una scaletta di priorità per le infrastrutture?
«Il problema sino ad oggi è stato per la Sicilia duplice: una infrastrutturazione insufficiente da un lato, ridondante dall’altro. Troppi progetti promossi per spinte localistiche, mentre la priorità va assegnata seguendo la fattibilità delle opere, la loro effettiva utilità e la tempistica reale per la realizzazione. E’ vero, i fondi ci sono, però in Italia siamo pronti a dare della matrigna all’Europa quando ci chiede di rispettare certe regole e vincoli comunitari, mentre non accettiamo giudizi e valutazioni quando, colpevolmente, siamo in ritardo nella spesa dei fondi che vengono assegnati puntualmente anche al nostro Paese. Ma, aggiungo, speravo prima della fine del mio governo, ma non abbiamo fatto in tempo, di lavorare alla modifica l’articolo V della Costituzione, che fu rivisto e cambiato nel 2001, nel punto in cui crea oggettivamente uno squilibrio tra i poteri, rendendo più difficile e più lenta l’azione per la spesa dei fondi per realizzare infrastrutture».
Presidente Monti, è un tormentone, ma a cui è difficile sottrarsi visto che viene ritirato fuori ad ogni campagna elettorale: il Ponte sullo Stretto. Silvio Berlusconi ha detto stavolta che prima di morire lo vuole attraversare.
«Beh, intanto auguro lunga vita al presidente Berlusconi. Poi vorrei chiarire che noi non abbiamo messo nessuna pietra tombale sul progetto, abbiamo solo deciso in Consiglio dei Ministri di chiedere una proroga di due anni prima di prendere una decisione definitiva. Un arco di tempo necessario almeno per due verifiche, quella sulla fattibilità tecnica dell’opera e quella sulla bancabilità del progetto. Peraltro il rinvio ci è sembrato quasi naturale in considerazione della gravissima crisi in cui abbiamo trovato in Paese e anche per questo abbiamo chiesto la revoca ex legge di tutti i contratti in corso, il pagamento soltanto dei lavori effettuati con una minima maggiorazione, ma nessuna penale a carico dello Stato. Aggiungo che anche l’Unione Europea ha escluso da tempo il finanziamento del progetto del Ponte dai grandi e moderni canali dei trasporti».
Presidente, oggi lei dice che quattordici mesi fa nessuno voleva sedersi sulla poltrona di Palazzo Chigi, e c’è finito lei mentre l’Italia stava precipitando nel baratro. Oggi, ovviamente, quella poltrona la inseguono in tanti e le colpe son quasi tutte sue. Tutto in quattordici mesi, un bel record…
«Guardi, oggi in campagna elettorale ognuno può dire quel che vuole e che crede. Certo, per essere chiari, Berlusconi non può mica cambiare la storia. Mi chiedo come faccia a descrivere così fatti tanto recenti che sono sotto gli occhi di tutti».
Per esempio la storia dell’Imu, no? Stanno arrivando a casa degli italiani lettere del Pdl in cui si annuncia la restituzione di quanto pagato.
«E’ stato necessario applicare l’Imu, che il governo Berlusconi aveva inventato anche per la prima casa, per lo squilibrio dei conti. Noi dal 2013 contiamo sia possibile l’esenzione per la prima casa e lo sgravio per i figli a carico e per le persone con disabilità. Il resto è propaganda, noi ci siamo dovuti occupare di una situazione che era drammatica, tanto che chi governava ha deciso di lasciare. Eravamo dentro un incubo, un autentico incubo, si parlava dell’Italia come della prossima Grecia, di un precipizio che era ormai aperto sotto di noi. Invece abbiamo recuperato credibilità, tenuta, fiducia dei mercati e dei partner europei. Questo è il quadro dentro cui ci siamo mossi, e gli italiani lo sanno. Sono stati chiamati a fare sacrifici, lo sappiamo, ma sono stati sacrifici che hanno salvato il Paese. E sono la base di partenza da non bruciare, per impostare il presente e il futuro».
La Sicilia, presidente Monti, è la terra dei primati, tristi. Record di imprese che chiudono, disoccupazione giovanile oltre il 50%, ma soprattutto, al momento, prospettive zero, al di là delle promesse, a cui non crede quasi più nessuno.
«So bene quali sono le difficoltà di questa terra, ma so anche che con una politica attenta che punti sui settori nevralgici, si può ridare slancio e forza alla Sicilia e speranze ai siciliani, ai giovani, ma non solo a loro. E’ doloroso il fatto che ci sono tanti ragazzi costretti ad emigrare, a lasciare le famiglie per cercare lontano da casa un lavoro, un’occupazione. Dobbiamo puntare sull’agricoltura, sull’innovazione tecnologica, dobbiamo valorizzare le intelligenze che produce questa terra e non continuare a mortificarle con promesse, con l’illusione di posti che non possono essere inventati, ma vanno creati. Con le riforme, con iniziative che aiutino le imprese, che consentano di creare occupazione e nuovo sviluppo».
Quanti posti di lavoro vorrebbe creare lei, presidente Monti?
«Guardi il nostro modo di fare politica è un altro. Lascio fare le promesse e lascio dare i numeri ad altri. E’ facile, soprattutto in momenti difficili come questi che stiamo vivendo, raccontare ai cittadini quel che la gente vorrebbe sentirsi dire. Noi diciamo quel che va detto, cioé che per uscire dalla crisi bisogna impegnarsi tutti, ci vogliono anche sacrifici, ma l’unica strada è questa. Eventuali scorciatoie che qualcuno indica sono strade senza uscite, che non portano da nessuna parte».
Lei parla soprattutto di Berlusconi, ma il futuro dell’Italia e della sua governabilità sembra soprattutto appeso al risultato di Grillo. Che riempie le piazze, che ha un seguito straordinario, che incarna la stanchezza della gente per questa politica che è stata degradata da chi l’ha fatta, non dalla gente.
«Io capisco i tanti sostenitori di Grillo, la loro ribellione, le loro istanze. Mi sento molto vicino a tutta quella gente che va in piazza ad ascoltare Grillo. Il fatto, però, è che non ci si può fermare alla fase della protesta, serve quella concreta della proposta per governare l’emergenza e portare l’Italia in una situazione di stabilità».
Presidente, ultima domanda, d’obbligo: a proposito di alleanze in Sicilia lei trova un governo regionale Pd-Udc, che ha battuto il centrodestra. Può interessare la formula?
«No, guardi, non ci interessa proprio. Grazie lo stesso».
Andrea Lodato
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