Se Mario Draghi, anziché presidente della Bce, fosse stato candidato alle prossime elezioni politiche italiane, molto probabilmente, come programma elettorale avrebbe presentato il discorso che ieri ha tenuto al Parlamento europeo, senza tagli e senza fronzoli. Quindi “vestire” e montare la notizia (attenzione si parla di Europa) che il 2013 è iniziato bene ma c’è molto da fare, perché la ripresa inizierà ma da metà anno e sarà lenta.
Poi dal presidente della Bce, in netta contrapposizione con Barack Obama, arriva la prima doccia fredda. Riguarda i tassi e la liquidità. Che la Fed continua ad immettere sul mercato statunitense, dove, peraltro, i tassi sono azzerati, mentre in Europa il costo del denaro è superiore e ciononostante Draghi sostiene che nel Vecchio Continente esistono abbondanti liquidità a condizioni facili. Da qui il rischio che si possano alimentare bolle dei prezzi e ridurre gli incentivi delle banche a valutare in modo corretto l’affidabilità creditizia di chi chiede un prestito.
Su questo punto è bene soffermarsi. Draghi ha certamente ragione, in linea di massima, quando fa queste affermazioni che, però, non ci sembra possano trovare posto in un ipotetico programma elettorale. Perché dove alloggi, effettivamente, questa grande liquidità non sembra palese, almeno in Italia e, soprattutto, dalle nostre parti, cioè nel Sud, cioè in Sicilia.
Le banche non concedono affidamenti e, solo grazie al rinvio di Basilea 3, hanno potuto evitare di tartassare la clientela richiedendo il rientro dalle aperture di credito. Ma, sempre le banche, hanno quasi del tutto bloccato i mutui, agevolando i clienti con rinvii ma non concedendo nuovi prestiti. E dove sia questa liquidità non è chiaro se è vero, come è vero, che i centri commerciali sono semivuoti, i supermercati chiudono con i consumi che si riducono anche nel campo alimentare. In Italia nel 2012 il credito concesso dalle banche ai privati è sceso di ben 38 miliardi di euro. Draghi lo sa e starebbe pensando a un piano della Bce per favorire il credito alle piccole e medie imprese, attraverso fondi per le banche ma da utilizzare esclusivamente per il credito alle aziende che, così, potrebbero rimettersi in moto, assumere o riassumere personale (con riduzione anche della cassa integrazione straordinaria), creando i veri presupposti (aumento dei consumi) per una ripresa dell’economia.
Sul prossimo punto Draghi certamente riscuoterebbe le simpatie degli elettori. Quando afferma, cioè, che bisogna pensare a tagli della spesa e non all’aumento delle tasse che nella zona Euro sono già molto alte. E’ vero signor presidente. Noi italiani lo sappiamo benissimo. Lo sanno le imprese e lo sanno i privati. Infatti Silvio Berlusconi ha puntato la sua campagna elettorale sulla riduzione delle tasse, “costringendo” Mario Monti (che le tasse le ha aumentate) a promettere riduzioni. E lo stesso ha dovuto fare Bersani.
In generale, suggerisce Draghi, bisogna proseguire nel cammino delle riforme strutturali e dotarsi di un piano a medio-lungo termine, dettagliato e credibile.
Ma dalle parole ai fatti la strada è piena di insidie, a cominciare dall’amico Giappone che continua a far scivolare lo yen per favorire le esportazioni, a fronte dei toni concilianti del comunicato G20 sul tema della svalutazione. E guarda caso ieri, a fronte di un calo delle Borse europee, Tokio è salita di poco più del 2%.
Vincere la sfida è il compito che si assume Mario Draghi. Potrebbe farcela, anche perché si deve al presidente se il famigerato spread è sceso da 575 punti base a 280pb. L’appello finale di Draghi: avere una forte credibilità e gestire le aspettative. È questo che i governi devono fare per rilanciare le economie dei paesi schiacciati dai risanamenti fiscali.
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