Nel supplemento del Corriere della sera di domenica 20 gennaio, Pierluigi Battista intitola un articolo su due pagine “Contro l’abuso della questione morale” attaccando frontalmente Enrico Berlinguer per l’intervista del 1981.
Secondo Battista, Berlinguer avrebbe utilizzato la “questione morale” come giustificazione di una presunta diversità-superiorità etica della sinistra e come discriminante rispetto a tutte le altre forze politiche.
Battista scrive questo articolo non certo per interesse storico ma per affrontare l’attualità della lotta alla corruzione che, a suo avviso, andrebbe condotta attraverso le forme delle regole di funzionamento dello Stato e della politica in modo molto “pragmatico” promuovendo la ritirata dello Stato dalla società e affidando alle regole giuridiche e al mercato la riforma dei costumi degli italiani.
Io, al contrario, penso che sia necessario affrontare il tema in una prospettiva un po’ meno strumentale di quella di chi pensa di affidare alla ramazza della concorrenza e della competizione la selezione dei “migliori”.
La moralità degli italiani e la loro diffusa inclinazione alla furbizia e all’imbroglio sono per la verità un tema che accompagna tutta la storia del nostro Paese sin dalla sua Unità. Tutti possono ancora leggere le riflessioni di Giacomo Leopardi sui costumi degli italiani e quelle di Antonio Gramsci durante gli anni del carcere sulla necessità di una grande riforma morale e intellettuale degli italiani. Si può anche ricordare che ancora prima Massimo D’Azeglio aveva solennemente affermato che fatta l’Italia bisognava ancora formare gli italiani. Noi siamo un grande paese per invenzioni e cultura, come testimoniano i geni e gli artisti nati nella nostra terra, ma siamo anche un popolo con il vizio congenito dell’ipocrisia e del servilismo, che ha fatto della doppia coscienza una regola del quieto vivere sempre più estesa per effetto della penetrazione dello spirito borghese nella massa del popolo.
Se la questione morale viene posta in termini non scandalistici e giustizialisti, ci si accorge allora che discuterne è un dovere per chiunque abbia un ruolo pubblico nella nostra società. In questa prospettiva il primo criterio di misura della moralità di una persona, che non dipende certo da regole o da direttive statali, è il rapporto con la Verità. Ciò che oggi è assai spesso assente dal dibattito pubblico e dalla campagna elettorale è il dovere di dire la Verità ai propri interlocutori.
L’ipocrisia e la menzogna sistematica sono infatti i veri distruttori della coscienza morale e proprio per questo un’educazione tendenzialmente orientata all’apprendimento delle cosiddette “buone maniere” o del moralismo conformista è devastante per la maturazione di un popolo. Il grande Gaber ha scritto una canzone per raccomandare agli adulti di non insegnare ai bambini la propria morale perché gli potrebbe far male ma di limitarsi a trasmettere amore e fiducia.
È proprio sul terreno del modello educativo che viene via via perduto l’amore per la Verità come criterio fondamentale per giudicare la condotta delle persone che hanno ruoli pubblici. Ed è proprio nell’ostentazione della falsa morale da parte degli adulti che si insinua nella mente dei giovani la sfiducia e l’abitudine ai piccoli imbrogli da cui si può trarre un qualche vantaggio. La passione per la verità è già garanzia di moralità autentica. Tutto il sistema di falsa protezione che gli adulti adottano nei confronti dei bambini per nascondere le verità più sgradevoli è di per sé una premessa per acquisire modi di comportamento insinceri e spesso stucchevoli nelle forme ipocrite del cosiddetto “complimento”.
I bambini sono spesso educati alla bugia sistematica e invitati a nascondere i problemi e le difficoltà che vivono a casa. L’abitudine ad apparire diversi da come ci si sente in realtà conferisce alle relazioni interpersonali assai frequentemente il tono dell’ipocrisia e delle false cerimonie. Ci si abitua così ad una sorta di scissione della coscienza che separa nettamente ciò che deve essere mostrato all’esterno da ciò che si sente e si prova nell’intimità della propria coscienza.
Oggi il problema della questione morale riguarda innanzitutto la Verità della situazione economica e sociale del nostro Paese che viene per lo più occultata e manipolata da politici e giornalisti. Luciano Gallino, prendendo lo spunto dalla ormai clamorosa vicenda della BMPS, ha scritto giustamente che non è la politica ad avere invaso l’economia ma al contrario è l’economia a comandare e a servirsi dei politici che si trovano assai spesso in condizioni di inferiorità. Man mano che si va avanti nel tentativo di capire cosa è successo veramente, chi è responsabile e chi è innocente, appare sempre più chiaramente che nel sistema bancario finanziario esistono delle zone d’ombra in cui non è facile neppure effettuare i controlli tanto richiesti delle autorità di vigilanza.
Sappiamo tutti oramai che nel pianeta c’è una massa di titoli monetari, circolanti a velocità supersonica, che supera di circa dieci volte l’esistenza effettiva di beni prodotti dall’economia reale e che in questi buchi neri i grandi poteri finanziari dettano a tutti i governi doveri di comportamento, minacciando continuamente il ricatto del fallimento. Naturalmente la banda mondiale della “criminalità finanziaria” ha i suoi complici e i suoi soci di affari nei vari Paesi e nelle varie istituzioni nazionali, perciò si deve fare una lotta all’interno di ogni Paese contro questo enorme potere che sovrasta l’economia reale di tutti i Paesi. Il criterio fondamentale di questa lotta è il rapporto con la verità della situazione mondiale e non la strumentalizzazione elettorale con la quale si cerca di scaricare le responsabilità e di togliere consensi agli avversari.
L’oscurità su questo aspetto della finanza nazionale trascina con sé tutti gli altri aspetti della vicenda economica. Nessuno degli attuali concorrenti per la presidenza del Consiglio ha il coraggio di dire agli italiani qual è l’effettiva situazione del nostro Paese e perché l’unica questione che viene agitata è la questione fiscale e non già quella delle aree e dei settori su cui bisogna scommettere per una vera ripresa produttiva che -allo stato- nessuno riesce a capire dove e come dovrebbe avere inizio. Debbo riconoscere per onestà intellettuale che solo Bersani, senza minacciare fallimenti come la Grecia, continua a descrivere in modo realistico la situazione dell’economia italiana e la gravità della crisi che attraversiamo.
La mancanza di verità raggiunge il vertice dell’inganno pubblico sistematico quando ad essa si aggiunge, come nel caso di Berlusconi, la montagna di promesse sicuramente inattuabili unicamente allo scopo di sottrarre gli elettori al confronto con la realtà. Bisognerebbe infatti che tutti partissero dall’inaudita gravità della crisi e dallo sforzo nazionale e internazionale che si impone ad ogni governo per non diventare un mero comitato d’affari dei poteri finanziari, dislocati a vari livelli nel Paese e nell’intero Occidente. È veramente inaudito che il centrodestra, che ha promosso una legislazione che ha eliminato il falso in bilancio come reato, e che ha favorito con i condoni e con gli scudi l’evasione fiscale -che oggi sottrae all’Italia miliardi di euro-, si candidi al governo di questo Paese riproponendo quello stesso personale giunto persino a votare in Parlamento che l’interessamento di Berlusconi per Ruby era un fatto di politica internazionale legato ai rapporti di alleanza con Mubarak. Chi ha votato in Parlamento per sostenere questa enorme fandonia si merita già la qualifica di “bugiardo di stato”.
È questione morale l’improvvisa conversione del tecnico Mario Monti a leader politico di un movimento che si propone principalmente di impedire la governabilità del Paese. La vicenda di Albertini, candidato a Milano nella lista Monti, dopo aver militato per tanti anni nel centrodestra berlusconiano, è quanto meno una prova di trasformismo sfacciato. È questione morale dichiarare la propria estraneità alla competizione politica e allo stesso tempo promuovere riunioni a palazzo Chigi per preparare la lista che porterà il proprio nome. Giocare la partita del doppio ruolo di tecnico e politico è già di per sé il segno di una furbesca premeditazione del tradimento della parola data.
È questione morale la candidatura di Antonio Ingroia che usa spregiudicatamente il protagonismo esibito durante il processo sulle trattative Stato-mafia per eleggersi a giudice supremo dell’intero Paese. Tutte le candidature di magistrati che hanno avuto accesso ai segreti di questo Paese e che hanno usufruito di informazioni a tutto campo sui personaggi più in vista della scena politica dovrebbero moralmente ritenersi obbligati a non partecipare attivamente alle competizioni elettorali. È un caso originale del nostro Paese che tanti magistrati, appena possibile, entrino nelle liste dei vari schieramenti. Ciò che vale per Ingroia vale anche per Grasso e per tutti gli altri che si trovano nella stessa condizione di avere potuto accedere a informazioni in virtù del proprio ufficio e che perciò sono precluse agli altri cittadini.
È questione morale l’inefficienza della pubblica amministrazione e l’incapacità di adottare misure nei confronti di quanti non prestano con diligenza e rigore il proprio servizio.
È questione morale comportarsi come il manager Marchionne che ha promesso più volte rilevanti investimenti in Italia e che poi gestisce la Fiat soltanto per umiliare gli operai che non prestano ossequio alle sue regole di Capo, irridendo persino ai provvedimenti della magistratura che ha disposto la reintegrazione di quegli operai licenziati perché appartenenti a un sindacato ostile.
È questione morale il semplice fatto che tutti i leader si sono riservati in ogni caso di garantire ad alcuni privilegiati la certezza dell’elezione in parlamento. In un vero gioco politico elettorale tutti i cittadini dovrebbero trovarsi su un piano di parità. L’idea del privilegio per alcuni non ha nessuna giustificazione e le motivazioni fornite sono per principio false.
È una questione morale che un capopopolo come Grillo si avvalga indirettamente dei servizi televisivi rifiutandosi di partecipare a qualsiasi confronto e bollando tutti gli altri di indegnità. Non il populismo ma il qualunquismo è una questione morale perché utilizza strumentalmente il rancore e la rabbia dei cittadini producendo sfiducia e cinismo in una sorta di cupio dissolvi di chi ormai si sente per sempre sconfitto.
È una drammatica questione morale la faziosità e l’unilateralità del sistema mediatico italiano, specie dei giornali, che contribuiscono al clima spettacolare della fiction e dello scoop riproponendo sempre gli stessi attori in commedia senza cercare attraverso inchieste e reportage documentati la verità della vita quotidiana dei ragazzi, delle ragazze, degli uomini e delle donne di questo Paese.
È questione morale l’esagerato trasformismo che caratterizza gli uomini politici appassionati di poltrone e prebende.
È infine la più grossa questione morale del nostro Paese avere abbandonato il tema dell’educazione e della formazione a ministri incapaci e incolti che hanno creato il caos in ogni ordine e grado della scuola italiana, abbassandone il livello fino al punto da produrre una migrazione biblica di giovani intelligenze. Pietro Barcellona
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