Last updated on Aprile 15th, 2013 at 10:04 am
E’ risaputo che Cosa nostra agisce come un’impresa che «deve» trarre profitto dalle proprie attività illecite.
Ma il recente Rapporto sugli «Investimenti delle mafie» curato dal centro Transcrime dell’Università Cattolica di Milano per il ministero dell’Interno nell’ambito del Pon Sicurezza, dimostra addirittura che l’organizzazione mafiosa è attrezzata anche meglio di un’impresa: tiene conto dei «costi di produzione», studia le strategie «commerciali» in base alle migliori opportunità di profitto e «sposta» di conseguenza i propri «core business» laddove c’è maggiore possibilità di guadagno.
Oggi i mafiosi investono quasi tutto in immobili e attività formalmente «lecite», sempre più nel resto del Paese o in Europa, Stati Uniti, Brasile e Sudamerica, Canada. La più rischiosa gestione delle attività criminali, dunque, rappresenta una mimima parte degli affari.
Lo studio, ovviamente, si occupa anche delle altre organizzazioni (camorra, ‘ndrangheta, Sacra corona unita, ecc.) ma la particolarità del documento sta nell’individuare anche le zone nelle quali il «mercato» sia tale da vedere la contemporanea presenza di più organizzazioni che si dividono quei territori. Anche in Sicilia.
Ad esempio, l’«Indice di presenza mafiosa» mostra che l’Isola, rispetto all’Italia, non è più così mafiosa come la si è sempre descritta: parte dell’organizzazione si è trasferita in altre regioni.
Apre la classifica la Campania (61,21), seguita da Calabria (41,76). La Sicilia è al terzo posto con un indice di «appena» 31,80, perché le attività si sono spostate: Lazio al quinto posto (16,83), Liguria al sesto (10,44), Piemonte al settimo (6,11), Lombardia al nono (4,17).
Nella classifica delle province, se la capolista è Napoli (101,57), Palermo è «solo» al quarto posto (58,20) e Caltanissetta al quinto (53,18); Catania è all’ottavo (28,85), Agrigento al decimo (25,10) e giù fino a Ragusa, ventottesima (7,12). In mezzo ci stanno Roma (13^, 21,61), Genova (17^, 14,27), Torino (20^, 10,47), Latina (25^, 8,46) e Milano (26^, 8,15). La mappa della presenza di Cosa nostra in Italia vede colorate varie province di Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia, Toscana, Lazio, Abruzzo e Marche. Mentre in Sicilia i clan, se controllano ancora il 91,1% del territorio, hanno ceduto lo 0,5% alla ‘ndrangheta e l’8,5% a «stidda» e altre organizzazioni.
Quanto alle attività illegali, lo studio di Transcrime-Cattolica evidenzia che sul prodotto annuo totale (stime variabili fra 130 e 200 miliardi di euro) per tutte le organizzazioni, una buona parte viene utilizzato per innestarsi nell’economia sana, o acquisendo aziende regolari o creandone di nuove, e tutto ciò alla fine risulta come fatturato prodotto da attività formalmente legali. Dunque, le famiglie mafiose gestiscono direttamente nelle forme tradizionali solo una minima parte dei ricavi, quelli derivanti dalle attività illecite, che sono pari a 13 miliardi, di cui 2,3 miliardi «appartengono» a Cosa nostra. Di questi, 14 milioni in Abruzzo, 48 in Emilia, 69 in Friuli, 358 in Lazio, 84 in Liguria, 162 in Lombardia, 15 nelle Marche, 28 in Piemonte, 35 in Toscana, 8,6 in Umbria, 27 in Veneto.
I dati regionali della «produzione» illecita mostrano che il ricavo di Cosa nostra in Sicilia è stimato in 1,4 miliardi, cui si aggiungono 7,4 milioni per la ‘ndrangheta e 134 milioni per «stidda» e altre organizzazioni, per un totale regionale di 2,1 miliardi.
I settori maggiormente redditizi sono la droga, le estorsioni, lo sfruttamento sessuale e, a sorpresa, la contraffazione.
In Sicilia le estorsioni danno 689 milioni; lo sfruttamento della prostituzione genera profitti, al netto dei «costi», per 201 milioni di euro; 11 milioni netti dal traffico di armi; il mercato della droga, che soffre «costi di produzione» per 100 milioni, riconosce profitti per 631 milioni; la contraffazione ha dato una performance di 410 milioni; il gioco d’azzardo produce 102 milioni, 120 milioni il traffico illegale di rifiuti speciali; 27 milioni arrivano dal traffico di sigarette, mentre il giro dell’usura, che strozza 35 mila famiglie, regala ricavi per 280 milioni.
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Bisogna far emergere tutto questo (denaro) sommerso… Garantire trasparenza nella pubblica amministrazione ed esser sicuri di far partecipare ai bandi aziende non colluse con le attivita’ criminali