Last updated on Aprile 15th, 2013 at 09:42 am
Il presidio “Vito Pipitone” di Libera Marsala, il cui referente comunale è Davide Piccione, ha tenuto nei giorni scorsi, nella sala conferenze del Complesso monumentale S. Pietro, il primo di quattro incontri sul rapporto tra la storia siciliana e la mafia.
La finalità dell’importante iniziativa, che già nel tema reca un’innegabile valenza socio-culturale, è quella di divulgare, per mezzo di tavole rotonde e dibattiti, animati da studiosi seri e preparati, la genesi del fenomeno mafioso nella provincia trapanese e nel territorio marsalese in particolare.
Se la chiave per affrontare e risolvere i problemi come quello mafioso – che come amava ricordare Giovanni Falcone, essendo un fenomeno umano è destinato ad avere la sua fine – è quella della sua conoscenza, studiarne l’origine è il primo passo per cercare di capire il motivo per il quale la mafia ha potuto annidarsi e prosperare in terra di Sicilia e nel Trapanese. E in tale ottica si è mossa, con il primo incontro, l’intelligente iniziativa di Libera Marsala.
Lo storico Natale Musarra, valente e infaticabile ricercatore che collabora con il Centro internazionale Studi risorgimentali-garibaldini ed è responsabile dell’Archivio storico degli anarchici siciliani, nonché autore, fra le altre pubblicazioni, del saggio storico «Marsala e l’Unità d’Italia» ha parlato per più di un’ora, illustrando al vasto e attento pubblico i risultati, per lo più inediti, delle sue ultime ricerche riguardo alle origini della criminalità organizzata nel territorio lilibetano, dal periodo delle rivoluzioni ottocentesche, toccando le organizzazioni “camorristiche” presenti nel Trapanese, i rapporti tra rivoluzioni, mafia, camorra e carboneria.
Natale Musarra, col suo piglio sicuro e appassionato, ha iniziato la sua disamina affermando che ancora oggi manca – nonostante il proliferare di tanti “saggi” di terza e quarta mano sul fenomeno mafioso siciliano, da parte di autori spesso in cerca di facile pubblicità – una seria investigazione, sotto il profilo scientifico-archivistico delle origini della mafia nel nostro territorio. Con questo primo incontro lo storico catanese ha cercato di colmare, sia pure in parte, questo clamoroso vuoto.
La conoscenza del fenomeno, a partire dalle sue prime apparizioni, ha detto Musarra, non ha soltanto un valore storico-culturale, ma anche un’enorme rilevanza per comprendere i legami che nell’Isola vi sono stati tra la mafia, il popolo e le autorità politiche, e per analizzare cosa e quanto sia cambiato in queste relazioni a distanza di più di 150 anni.
Per Musarra dal 1821, anno in cui si celebra il primo processo a carico di 151 imputati, per vari reati a carico di esponenti di spicco della camorra napoletana con entrature anche nella Carboneria, si registra la presenza di bande criminali che tentano di instaurare un controllo del territorio. Si arriva così al 1865, anno in cui il prefetto Gualterio redige un primo rapporto inviato al ministro dell’Interno che parla di mafia nell’Isola.
L’origine del termine mafia, ha ricordato Musarra, deriva da una commedia ambientata in carcere, scritta nel 1863 da Giuseppe Rizzotto, dal titolo «I mafiosi della Vicaria», in cui si parla di camorra siciliana, per indicare quegli esponenti criminali che poi verranno chiamati mafiosi e, molto dopo, grazie alle rivelazioni di Buscetta, indicati come appartenenti a Cosa Nostra. Le famiglie mafiose in Sicilia, però, esistevano fin dal 1820 perché, come già era avvenuto per i camorristi, a partire dal 1799, vengono utilizzati per mantenere l’ordine pubblico.
I primi mafiosi marsalesi furono Giovan Battista Russo, che fornirà la polvere da sparo a Garibaldi, e Di Girolamo Manzo, attivi già dal 1837. In quest’epoca, dice Musarra, si contrappongono due camorre- mafie: quella che fa capo a Di Girolamo Manzo e l’altra popolare rivoluzionaria.
Nel 1848, Di Girolamo Manzo sequestra il direttore della ditta vinicola inglese Woodhouse e un dirigente dello stabilimento Florio. Così viene arrestato e, dopo avere goduto di un’amnistia, si pone al servizio dei Borbonici. Osteggiato da molti marsalesi, viene assunto dalla famiglia D’Alì per preservare le proprie saline e cercare di impadronirsi delle saline Lazzara. Altra famiglia che cerca di accaparrarsi le proprietà dei Lazzara è quella dei Saporito che assolda un esponente dei Messina Denaro, ascendente dell’attuale ricercato Matteo.
In seguito Di Girolamo si schiera con Garibaldi e la Guardia nazionale e tenta di scalare il Consiglio comunale di Marsala, dove si fa eleggere alla carica di consigliere nel 1864.
Altri mafiosi dell’epoca sono Giuseppe Bertuglia, bottaio, e Giuseppe Bua, anch’egli poi garibaldino e amico del Bertuglia, di cui prenderà il posto a capo del movimento rivoluzionario popolare. Altro esponente di spicco è Francesco Lentini, amico di Abele Damiani e del Bertuglia, che si opporrà alla carriera politica del Di Girolamo Manzo.
Se, pertanto, lo scenario sociale, storico e politico dell’epoca raccontata da Musarra era del tutto diverso, i legami e le connivenze tra mafia, politica e popolazione, sembrano, a distanza di 150 anni, drammaticamente simili a quelli attuali. Fabio D’anna
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