In questi giorni sto seguendo la vicenda di Marco Panella, unico in Italia, a fare lo sciopero della fame e della sete per denunciare le condizioni penose delle nostre carceri e dei detenuti che in essi si trovano.
E mi sono detto: Pannella, 82 anni, se continua lo sciopero e dovesse morire, tutti diranno poveretto, aveva ragione, non si può andare avanti così. Ma ora nessuno e dico nessuno si sta muovendo affinché si possa restituire dignità a quelle persone che anche se in carcere, non sono animali o bestie ma persone.
Si, perché da quanto mi ha raccontato un carissimo amico che purtroppo ha fatto questa esperienza terribile in una delle Carceri più antiche e più vecchie di Palermo, l’Ucciardone, in quel luogo non sei una persona, non hai diritti, sei …. e basta.
Intanto credo che la cosa più assurda del nostro ordinamento giuridico è che esiste una carcerazione preventiva, cioè ancora prima di essere processato, giudicato, condannato, una persona viene arrestata e messa dentro. L’unica consolazione che gli avvocati ti danno è: in caso di una eventuale condanna questo periodo che hai fatto, ti viene calcolato e tolto dalla pena.
Ma siamo pazzi? E se non vengo condannato, i giorni, i mesi, gli anni che ho passato dentro, chi me li restituisce? E la dignità di uomo che viene offesa, oltraggiata, calpestata, chi me la può ridare, un dispositivo di un giudice?
No, credo che dobbiamo riflettere seriamente su tutto questo e rivedere cosa c’è di marcio in un meccanismo-giustizia che in Italia non funziona.
Ma per farlo voglio scrivervi quello che mi ha raccontato, con le lacrime agli occhi, questo amico che ha passato più di un mese in Carcere. Il suo racconto mi ha lasciato veramente con i brividi nelle ossa, perché una cosa è sentirne parlare alla televisione, una cosa è ascoltarlo da chi l’ha vissuto.
Lui era detenuto in una sezione diciamo tranquilla, rispetto alle altre. Le celle ospitavano da 4 a 7 detenuti. Letti a castello con materassi e cuscini in gomma piuma che d’estate raggiungevano temperature incandescenti. La finestra sempre aperta ma che quasi mai faceva passare aria, e il caldo dell’estate che rendeva insopportabile tutto.
Due tavolini e 4 sgabelli durissimi. 4 armadietti, uno per ciascuno, dove tenere tutto dal cibo ai vestiti, alle cose per lavarti.
La sua cella era 4 metri per 4 con due letti a castello ai lati, al centro lo spazio con un tavolino, gli sgabelli, alle pareti vicino la porta e sul muro di fronte gli armadietti. E poi erano “fortunati “ perché avevano un piccolo vano, una stanzetta che fungeva da bagno e da cucinino. C’era la doccia, con accanto una finestrella minuscola, con dei gradini per arrivarvi ma tutti pieni di secchi d’acqua in caso di emergenza. Poi il water, il lavandino, un piccolo buttatoio per i piatti, una lastra di marmo, e quello che lentamente gli altri detenuti suoi compagni, più longevi di permanenza, avevano comprato, tipo lo stendino per i panni e una specie di cassettiera a scompartimenti.
Ma quello che mi faceva riflettere sentendo il racconto di questo mio amico era la condizione in cui venivano trattati. Lui è stato in carcere d’estate, avevano il bagno con la doccia in camera e quando c’era l’acqua, sempre ghiacciata, estate e inverno, potevano lavarsi quando volevano. Invece, nelle altre sezioni, la doccia è due volte a settimana, a turno, e soprattutto quando uno è l’ultimo arrivato, vige la regola interna che deve fare la doccia per ultimo se rimane l’acqua.
Per non parlare dell’umiliazione che devono sopportare i parenti per le visite settimanali. Ore e ore sotto il sole, o in ambienti inospitali, senza un poco di acqua, con una temperatura incandescente, per poter stare solo un ora con i propri cari, separati da un muro e da un piccolo vetro che ti impedisce quei gesti che una moglie vorrebbe fare al marito, una madre al figlio.
Un’altra cosa raccapricciante è il cibo. Passano il pranzo alle 12 e la cena alle 16,30. La pasta è quasi sempre al pomodoro e molte volte acida, scotta, alcune volte insalata di riso. La carne erano solette di scarpe piccolissime, una volta a settimana, poi sempre due bastoncini di pesce, due wustell, fette di prosciutto o mortadella, salatissime, una per ciascuno di uno spessore unico che mi diceva era immangiabile.
L’insalata o altre cose spesso erano acide, perché i carrelli, con il caldo della nostra Sicilia, venivano lasciati sotto il sole in attesa che di detenuti lavoranti li scendessero a prendere e li distribuivano nelle varie celle.
La domenica era meglio: pranzo e cena veniva distribuito alle 11 per tutti, e quindi pane duro del giorno prima e mangiare immangiabile nell’unico giorno che poteva essere diverso ma che diverso non era perché li dentro ogni giorno è uguale.
L’acqua era quella del rubinetto, altrimenti dovevi avere i soldi depositati e ogni settimana potevi fare la spesa allo spaccio del carcere. Capite bene, uno è in carcere e deve farsi la spesa per poter mangiare qualche cosa di decente. È una cosa vergognosa.
Il mio amico in cella era con altri tre. Uno di questi ogni giorno si faceva arrivare il Giornale di Sicilia. Bene per una forma di sopraffazione delle guardie carcerarie, prima se lo dovevano leggere loro e poi lo facevano portare a chi lo aveva comprato.
Se per caso l’avvocato ti veniva a trovare per il colloquio, lo facevano aspettare anche un ora e più secondo i loro comodi, perché il personale è sempre poco.
Ogni sezione ha sempre una guardia notte e giorno. Il sabato e la domenica davvero uno poteva morire perché su tre piani c’era una sola guardia, gente che si tagliava le vene, o che si sentiva male e gli infermieri arrivavano dopo un ora.
Mi fermo qui, e dico all’amico Pannella, grazie per quello che stai facendo ma purtroppo non è il tuo digiuno che cambierà le cose, sono le menti dei parlamentari che dovrebbero fare leggi giuste a cambiare la situazione. Quindi grazie Pannella per quello che stai facendo ma ricordati che purtroppo non gioverà a nulla, perché se qualcuno avesse a cuore il bene dei carcerati e della giustizia non ti avrebbero fatto arrivare al decimo giorno di digiuno e non te lo avrebbero fatto fare per tanti anni come tu e altri del tuo partito avete fatto.
D.G.